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INTERVISTA AD ALBERTO MAGNAGHI - 28 AGOSTO 2001


Poi ci sono altre fasi. Ad esempio, ero appena arrivato all'Università Firenze e mi sono beccato la Pantera nei primi anni '90: è stato un movimento partito dal Sud, poi è arrivato verso Nord. Abbiamo fatto un laboratorio con 100 studenti sulla Piana di Firenze, li ho collegati con molti comitati di varia natura, abbiamo fatto una "carta "della Piana di Firenze, è stata un'esperienza che è durata due anni, molto interessante. Però tutti questi ragazzi non volevano essere il '68, non volevano essere il '77, "non siamo qui, non siamo là": alla fine si interrogavano su chi erano e hanno passato il tempo così, hanno attraversato una crisi esistenziale, non gli andava bene niente. Insomma, questa esplosione di soggettività, di voglia di fare poi non si è tradotta in una continuità; infatti, io mi sento di avere sprecato due anni della mia vita con questi 100 a pieno tempo. Io ho fatto poi corsi per agenti di sviluppo del territorio a cui loro hanno partecipato, ho dato loro opportunità di lavorare nel territorio a organizzare sviluppi diversi: sono tutti afflitti, non sono riusciti a trovare la loro dimensione. Questo è un problema abbastanza difficile da dirimere, si può solo cercare di capire come fornire strumenti al movimento quando avviene per potenziarlo, ma il suo tempo ritmico, storico non è governabile.


Si può ipotizzare che le forme di partecipazione costruiscono nei singoli individui e poi anche nelle generazioni dei momenti di rottura, per cui se si passa da uno stadio ad un altro si ha certo un retroterra individuale di formazione del carattere e della personalità, si hanno delle caratteristiche e non delle altre. Se invece la forma della partecipazione è più episodica o ha una debolezza di coinvolgimento, diventa poi molto più facile rientrare e essere integrato in una dimensione di funzionalità sistemica, magari anche critica ma con caratteristiche particolari. Ed in parte il discorso sui movimenti degli anni '70 è stato proprio questo, di una debolezza intrinseca nelle esperienze fatte.

Debolezza intrinseca ma anche mancanza di aiuto. Per fare degli esempi concreti, prima ho parlato del '77, della divisione tra ceto politico e società civile, che non è certo stata aiutata da gente che pensava ad armarsi. Mi ricordo nel '75-'76 quando i governi di sinistra hanno cominciato ad insediarsi nelle regioni e nelle amministrazioni locali, qui in Langa era pieno di gente che si licenziava dalle fabbriche, miei giovani amici si sono impegnati a mettere su cooperative di cavalli, di formaggette o altro. Avevano intuito che si poteva tentare di fare qualche cosa in proprio, ci sono stati anche investimenti in macchine, perché la sinistra invitava a fare esperienze di questo tipo. Un giorno mi vedo uno di loro pallido che arriva dalla Comunità Montana, aveva investito già allora circa 50 milioni, erano in una decina, per mettere su le macchine, comprare i cavalli ecc., e arriva con 40.000 lire. Avevano cioè sperato che un cambiamento politico dell'amministrazione portasse un aiuto, c'erano molte radio locali che propagandavano tutte queste esperienze. E la delusione è stata forte, ma delusione materiale proprio: questi si sono trovati pieni di debiti, hanno dovuto ritornare in fabbrica, vendere tutto.
O si pensi ai centri sociali che c'erano a Milano, dicevo prima che avevamo fatto un'inchiesta contandone 200, ora sono rimasti il Leoncavallo, il Conchetta e pochi altri. Allora c'era una situazione come a Berlino, non era una nicchia, ma una socialità giovanile che si esprimeva in forme complesse, socioproduttive innovative. Chi ha aiutato queste forme a diventare nuova economia, nuova cultura, socialità? E' vero che probabilmente c'erano molte debolezze interne, ma c'è stato anche un ceto politico che ha aiutato a criminalizzarli, un ceto intellettuale che pensava alla lotta armata, e quindi l'ambiente circostante ha contato negativamente nel potenziale sviluppo di queste forme di nuova organizzazione sociale. Perché da 200 passano a 3 nel giro di pochi anni? A Milano nei quartieri inizia l'armamento diffuso, tutti cominciano a sparacchiare, nel '78 le Brigate Rosse rapiscono Moro e poi tutto finisce nella criminalizzazione e repressione generalizzata. Ma in quel momento non c'era un progetto che assumesse queste nuove energie giovanili come energie sociali di una nuova società locale, di una città, di un territorio. Erano in parte criminalizzate, in parte mandate in braccio alle Brigate Rosse, non c'è stato un progetto. Con questo non voglio dire che era come la generazione del '68, però sicuramente c'è stato un deserto intorno, anche se era una composizione sociale abbastanza diffusa, non era il Leoncavallo di adesso che è arroccato in una città ostile fatta tutta di commercianti e di impiegati berlusconiani e albertiniani.

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