Finora ho parlato del ceto politico. Per quanto riguarda le generazioni, che è un'altra cosa, non i politici quindi ma la società civile, io, insegnando all'università, sono a contatto con gli studenti da sempre e vedo i cambiamenti. Nelle nuove generazioni credo che abbia giocato fortemente un senso quasi di difesa da quelli che sono stati in fondo visti come fallimenti, il '68, poi tutte le nostre galere. C'è stata una specie di attenzione a rinchiudersi in un certo mondo più tecnico, più personale o di clan o di piccolo gruppo; non vedendo più grandi speranze di trasformazione si è cercato di avere alcune certezze, che sono appunto un atteggiamento maggiormente tecnico, il saper far bene qualcosa, possedere un mestiere.
Io poi non vedo in modo tanto negativo questi atteggiamenti, tra i miei studenti io non ammetto più nessuno che non sappia usare certi programmi di computer, far disegni complicati, nessuno viene più assunto se non ha le macchine informatiche, io non le so usare se non per scrivere a macchina. Però, questo loro aggrapparsi alla tecnologia, per esempio, è anche comprensibile in un mondo in cui gli orizzonti di trasformazione si sono abbassati, "per intanto so far bene una cosa", c'è quasi un'etica del sapere fare tecnico, della competenza. E in questo c'è anche un po' di critica probabilmente al nostro generalismo, a volerci occupare di tutto. Vedendo tutte le generazioni di studenti posso dire che dagli anni '70 non sono sempre uguali, ci sono stati degli alti, dei bassi, ci sono delle annate come nei vini, alcune un po' fiacchine, tutta questa medietà di gente a cui gli dici qualcosa poi gli puoi dire il contrario e fa sempre di sì con la testa, magari un'opacità di interesse intellettuale. Io ho sempre concepito l'università come luogo di pensiero critico e quindi faccio dei corsi problematici, però ogni tanto vedo proprio studenti che desidererebbero che gli dessi 10 libri da studiare, la bibliografia secca e i compiti precisi, quante pagine, che pennino usare per i disegni. E' chiaro che ci sono degli sbalzi generazionali legati anche ai cicli della percezione che un giovane ha delle possibilità di trasformazione, sociale, economica, rivoluzionaria. Probabilmente sono cose difficili da capire, il perché il '68 è successo nel '68 non lo sa nessuno; o perché qui in Val Bormida improvvisamente nell'88 dopo cinquant'anni che chinavano la testa improvvisamente si ribellano tutti i giovani e dicono chiudiamo l'Acna, perché quell'anno lì e non dieci anni prima? Non sono facili da capire questi eventi generazionali. L'unica cosa che si capisce è che comunque a fianco di un certo abbassamento, come dicevate voi, di livello degli orizzonti verso un atteggiamento maggiormente tecnico, oggi a mio parere sta ricrescendo un tessuto di coscienze, di militanze in forme diverse, non più partitica, ma magari nel volontariato, nella costruzione di una cooperativa, nella costruzione di un'attività artigianale, nell'impegno sociale. Sta avvenendo una crescita di fiducia e forse questo movimento antiglobalizzazione, che fa vedere che qualcosa si può contro i giganti, sta probabilmente influenzando una estensione degli orizzonti della trasformazione possibile. Vedo molto più complesso il comportamento sociale rispetto ad alcune emergenze storiche come il '68.
In questi lavori che ho fatto e che continuo a fare sui risanamenti dei fiumi Lambro, Seveso, Olona, se io guardo con gli occhiali della Regione vedo solo politiche di riduzione del rischio idraulico perché esondano e allagano le cantine, e riduzione dell'inquinamento perché puzzano e non ci si può avvicinare; se vado lungo il fiume e incontro amministratori, associazioni di difesa del fiume, cittadini, gruppi, vedo invece un pullulare di società civile, includendo in questa anche amministratori locali, che hanno un'altra visione del territorio, del fiume, delle acque, che chiedono di poterli nuovamente fruire. Le istituzioni chiedono di ridurne il rischio, cioè "ormai sono forme maleodoranti ed esondano, bisogna ridurne il rischio", non è più un elemento della vita; invece, li si può guardare con altri occhiali, quelli che dicevo prima, della partecipazione, per fare emergere i progetti sociali. Io ho fondato il mio progetto di risanamento di questi fiumi sulla lettura che ho fatto portando al tavolo tutta questa gente. Adesso sul Seveso stiamo lavorando con le aziende, con i sindaci, le associazioni, viene fuori una progettualità insospettabile a una lettura approssimativa da visitatore esterno o istituzionale, che invece è abbastanza sotterranea, ma esiste. Questo è interessante, e riguarda "gente normale", cioè gli amici del Seveso o del Lambro che fanno associazione, vanno a controllare le acque, si radunano, strappano un campo alla speculazione, fanno tutte queste attività minute di crescita della "coscienza di luogo" in condizioni ambientali e paesistiche anche disperate, come quelle dell'area metropolitana milanese. Sono ragionieri, impiegati, magari gente anziana, non sono rivoluzionari di professione, però hanno una loro forma di militanza territoriale che è altrettanto interessante.
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