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INTERVISTA AD ALBERTO MAGNAGHI - 28 AGOSTO 2001


In generale c'è comunque questo bagaglio e questo segno che è importante e che rimane al di là di dove poi uno si è collocato. C'è poi un'altra generazione che ha avuto una formazione più specialistica, anche nella gestione della politica, e non ha certe capacità di cogliere il quadro generale e di scendere nello specifico. Questo per dire che quella soggettività che si è formata con quelle esperienze e con quelle dimensioni oggi viene di nuovo spesa in ambiti sociali e politici con una qualità molto differente. Si guardi ad esempio a come si è formato un altro ceto politico, istituzionale, all'interno del sistema dei partiti: anche se è arrivato più in alto come posizioni di potere, però non ha questa qualità del saper prefigurare e costruire la dimensione progettuale. C'è dunque questo stacco generazionale, per cui generazioni successive non hanno questa ricchezza di capacità nel loro modo di essere e di stare all'interno delle situazioni, mentre hanno una dimensione molto più tecnica, capace di fare bene la loro parte di compito. Questo quanto incide e influenza la possibilità della costruzione di una progettualità futura?


Se riesco a dare una risposta, sgrossando, dividerei in due la questione. Abbiamo un ceto politico che voi definivate istituzionale. Io ho vissuto nel PCI negli anni in cui esisteva ancora, in cui frequentavo le sezioni di fabbrica, di territorio, i Cral, le case del popolo, in cui il dibattito era altissimo, era passione politica anche, ci si iscriveva per questa, operai e intellettuali. Io ho l'impressione che dagli anni '80 in poi l'iscrizione a un partito, anche di sinistra, da parte di un giovane fosse strettamente legata a un esito istituzionale o di mestiere. Vale a dire, uno si iscriveva al PSI di Craxi ovviamente se era un costruttore edile o qualcosa del genere, ma alla fine anche nel PCI o nei DS. Io lavoro molto con gli amministratori, non c'è più un'iscrizione gratuita, qualcuno che si iscriva per un ideale: ci si iscrive per un interesse, anche legittimo, del tipo "io devo fare l'avvocato piuttosto che l'imprenditore edile piuttosto che un'altra cosa, quindi mi iscrivo a un partito a seconda delle preferenze". Quindi, c'è un abbassamento di tensione ideale nel ceto politico dovuto a questo cambiamento dell'orizzonte delle aspettative. Intanto c'è da dire che di generazioni come quella del '68 ne nasce una ogni tanto, non tutte portano in sé la tensione al cambiamento, sono eventi storici di cui forse oggi assistiamo ad un secondo momento con questo movimento che vanta caratteristiche internazionali interessantissime. Tali caratteristiche allora non c'erano se non per qualche avvenimento simultaneo, come il Maggio francese, il '68 italiano, le lotte alla Renault, alla Fiat: ma poi non è che ci fosse gente che circolava tutto il giorno per le fabbriche francesi, tedesche, italiane. Oggi c'è questa consapevolezza di una circolazione dell'informazione. Tornando al discorso dei partiti, io credo che questo abbassamento di orizzonte ha caratterizzato la sinistra dopo il non aver interpretato il '68 come possibilità di concepire una trasformazione del modello di sviluppo e della società: è invece andata verso il compromesso storico, verso un'omologazione nel modello di sviluppo tradizionale, con qualche spruzzata generica di ambientalismo scientifico e di femminismo quantitativo. La sinistra non ha mai messo in discussione il modello di sviluppo. Questo credo che abbia portato innanzitutto ad un abbassamento e ad una crisi nella militanza; ciò a parte situazioni estreme da cura psichiatrica, come quando i sindacalisti furono costretti a inseguire i brigatisti nelle fabbriche, a fare i poliziotti, ci furono alcuni problemi drammatici di identità. Ma a parte questi, diciamo che c'è stata una specie di abbassamento della tensione alla trasformazione che ha portato un abbassamento di valori della militanza, per cui la militanza è diventata una specie di purga che uno doveva prendere per avere degli incarichi professionali. Adesso esagero, ma con la crisi dell'organizzazione delle sezioni non c'è più vita di partito, ma c'è vita di affari nel partito. Quindi, per forza il livello progettuale scende, perché cresce il livello progettuale di se stessi dei funzionari e degli iscritti, il che è diverso. Noi agivamo con una tensione ideale che è l'elemento di continuità che ci caratterizza anche da vecchi. Io non ho più una forma di continuismo con quella forma della politica, vivo la politica in mille altre forme, un po' coi miei laboratori universitari sperimentali, un po' con gli amministratori, un po' con le lotte per la chiusura dell'Acna, a seconda delle fasi le forme cambiano: mi è rimasta questa carica di passione per la trasformazione che mi fa agire non per interesse privato ma dentro ad una concezione del cambiamento del mondo.

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