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INTERVISTA AD ALBERTO MAGNAGHI - 28 AGOSTO 2001 |
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Mi sembra che questo ragionamento sia molto continuista rispetto all'operaismo di allora, nel senso che è rimasto inossidabile nella sua visione del mondo e delle forme della politica. Ed è un po' la critica che voi dite che implicitamente è venuta dal mio discorso al ragionamento di Negri: mi sembra riprodurre una forma dell'antagonismo legata alla composizione di classe degli anni 60 dello scorso secolo, e che oggi io vedo un po' come una riproduzione all'infinito di mosse subalterne. Se si legge Posse si vede che c'è una ricerca sistematica di elementi di distanziamento da tutto e da tutti. Io mi occupo di città dei bambini, di come si può costruire una città in cui i bambini stiano bene, mi occupo di nuovi produttori, di qualità, di benessere. Cioè mi occupo di avvicinamenti all'autogoverno della vita e del futuro: penso più a un ragionamento costruttivo di nuova società locale, perché penso che sia quella possibile per i nuovo abitanti-produttori e che poi questo insieme di società locali dia luogo a un globale diverso, antagonistico all'attuale globalizzazione dell'impero. E quindi sono più proiettato verso la ricerca dei soggetti per un progetto di costruzione di società locale e di modelli di sviluppo alternativi piuttosto che dei soggetti di estraneità e antagonismo "di classe". Il ragionamento di Negri è proiettato a scoprire dentro tutti i passaggi del capitale nuove forme di antagonismo, cosa che mi sembra un po' una fatica di Sisifo all'infinito, di cui non si vede mai la fine. Poi anche quelle indagini hanno la loro dignità e importanza perché c'è una continua ricerca delle nuove forme dello sfruttamento, della composizione di classe: man mano che il capitale risponde ai movimenti crea nuove forme di sfruttamento, desitua le forme del comando sociale. Però, devo dire che leggere queste cose mi dà la sensazione che Toni lavori in pantofole rispetto ad un apparato teorico: sento riutilizzare concetti e forme di ragionamento sull'antagonismo che allora avevano una validità per il tipo di composizione di classe che non poteva che produrre estraneità. Ho insistito molto all'inizio su questo concetto: allora non era possibile produrre altro che estraneità, chiunque proponesse alla classe operaia di allora di governare un processo economico avrebbe fatto ridere, non avrebbe avuto senso, perché cosa si vuole che governi uno che non è in grado di possedere e coltivarsi nemmeno una piantina di prezzemolo? Dunque, io nel corso degli anni ho tentato di evidenziare i cambiamenti, nel senso di capire quali sono le potenzialità oggi di autocostruzione sociale e di autogoverno. Ho messo in evidenza cioè tale aspetto, che naturalmente non è l'unico, però se c'è una differenza di atteggiamento è un po' questa. Adesso poi è ridicolo porsi il problema di chi abbia ragione, probabilmente si tratta di capire dove portano le varie ipotesi, di verificare le esperienze, in che orizzonti si collocano, e di lì poi aprire un dibattito sulle diverse prospettive di azione.
In diverse parti della tua analisi è venuto fuori il problema della politica e del progetto, e del resto l'attenzione rispetto a questo tema viene fuori anche dal titolo del tuo ultimo libro, "Il progetto locale" appunto. In questa ricerca verifichiamo che la maggior parte degli intervistati sono concordi nell'individuare la questione politica come un grande buco nero delle esperienze operaiste. Dall'altra parte, però, la maggior parte individua la politica come questione principalmente (se non addirittura quasi esclusivamente) di organizzazione, di forma-partito. Proviamo a ribaltare il problema, e a pensare la politica e il politico come questione innanzitutto di progetto e di macrofini, rispetto a cui individuare e praticare i mezzi di volta in volta necessari alla loro realizzazione. Tu hai affrontato la questione della politica declinandola soprattutto sul livello del locale: volendo ragionare anche rispetto a questi nuovi movimenti, come si può secondo te porre il nodo del rapporto tra nuove emersioni e progetto e grandi obiettivi?
Io la declino sul piano locale perché penso alla costruzione di "nodi" potenti delle reti, perché se non ci sono questi nodi la rete è una truffa. Però, ammetto che ciò che Bracher e Costello hanno scritto qualche anno fa sulla costruzione della rete globale dei movimenti abbia una sua importanza: quello che io critico è che poi da una manifestazione all'altra non succeda niente nel locale.
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