In tutto ciò molti mi chiedono dove finisce il conflitto. Certo che c'è conflitto, anche a seconda degli attori che siedono attorno a questo tavolo. Adesso, per esempio, sto facendo il piano provinciale di Prato, ed ho dei grandi conflitti a mettere insieme gli interessi degli industriali di Prato con quelli degli operatori della Val di Bisenzio, gli operatori agricoli del Montalbano, la rinascita delle valli. Non è che, detto fatto, sia così semplice. Però, secondo me la strada di costruzione di questi nuovi istituti di democrazia e di questi patti è quella strategica: poi non è facile costruirli, perché evidentemente in ogni territorio ci sono gli attori forti, gli attori deboli, quelli che hanno interesse a sfruttare gli altri e quindi a sfruttare anche le risorse del territorio finché ci sono e poi andarsene da un'altra parte. Ma, per esempio, dopo queste esperienze in val Bormida, della Miroglio che è venuta, ha dato occupazione a 200 persone e poi se ne è andata, della chimica che ha distrutto il territorio, della Fiat che ha provocato emigrazione, distruzione della economia della cascina, c'è da parte degli amministratori locali la consapevolezza del "mai più un'altra fabbrica che arriva da fuori e che non governiamo, cioè che non crea tessuto resistente, tessuto stabile per gente di qui, che lavora qui, che ha i figli, che ha interesse a starci e che è legata al territorio e alla sua valorizzazione". Ho sentito i sindaci che ragionano già così: dopo un'esperienza di industrializzazione senza sviluppo, adesso c'è la consapevolezza di non voler ripetere più questi modelli, ma di cercare di concepire la nuova industrializzazione come industria di servizio alla valorizzazione del territorio, quindi l'industria dell'artigianato locale, l'industria elettronica per fare le macchine per sgusciare la nocciola, cioè tutte cose che siano finalizzate a mettere in valore il patrimonio territoriale, ambientale, umano. Questa consapevolezza comincia a esserci. Ho fatto il caso della Val Bormida che ho seguito da vicino, ma la stessa esperienza la sto facendo a Milano nel risanamento dell'area ad alto rischio Lambro, Seveso, Olona, la sto facendo in Toscana in diverse esperienze di parchi territoriali, di piani. E devo dire che questo metodo di partecipazione è molto interessante. Sto iniziando il piano regolatore di Follonica che è partito come un forum di 200 adesioni, di tutte le associazioni locali, ambientaliste, economiche, i costruttori, gli abitanti, i residenti temporanei, e il tutto si sta svolgendo con un'ipotesi di futuro di Follonica che viene discussa in questi forum. Poi naturalmente c'è quello che vuole costruire questo o quell'altro, ma il problema interessante è capire come la presenza di questi attori sposti poi anche i poteri di decisione. A noi hanno chiesto questa esperienza proprio amministratori interessati a spostare i poteri forti dei costruttori edili, degli industriali, frenare i loro appetiti e mettere in evidenza gli interessi di altre componenti sociali, gli abitanti in primo luogo che hanno interesse a valorizzare il territorio, Quindi, questi metodi di partecipazione hanno anche questa valenza, cioè di dar voce ad attori che solitamente non ne hanno nei processi di decisione dello sviluppo economico. Sono esperimenti naturalmente, e poi non dipende dalla forza dei tecnici ma da come i politici capiscono l'importanza di passare dall'amministrazione locale al municipio, che assomigli più a un municipio medioevale dove insieme alle corporazioni, alle gilde e via dicendo venivano decisi i modelli di sviluppo della città, la sua economia ecc. Abbiamo molto a cuore anche la formazione dei nuovi amministratori, quindi come università lavoriamo molto pure su questo terreno, perché è importante che cresca una generazione di amministratori consapevole di quale potenzialità ha in mano l'amministrazione locale nel promuovere processi di sviluppo attenti a queste nuove forme di democrazia e alla valorizzazione del patrimonio.
Negri sembra avere un punto di vista antitetico a quello che tu hai esposto. Anche nel suo "Empire" pare esserci l'idea che ogni passaggio di sviluppo capitalistico sia immediatamente e necessariamente un passaggio in avanti verso la liberazione.
Mi sembra che Negri abbia un po' ipostatizzato il passato. Ho letto anche questa sua ultima rivista, Posse, il numero sull'inchiesta, con il rilancio dell'inchiesta operaia: mi pare che ci sia un atteggiamento in cui prevale ancora una visione del proletariato, dell'operaio sociale, il cui compito è l'antagonismo, la rivendicazione dell'estraneità.
|