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INTERVISTA AD ALBERTO MAGNAGHI - 28 AGOSTO 2001


C'è un problema proprio di gerarchia delle merci, delle priorità che vengono date nell'integrazione di forme di accumulazione.


Sì, ma per fortuna ci sono alcuni processi che aiutano a vedere come questa gerarchia delle merci possa essere modificata. La saturazione delle città, il fatto che la gente tenda sempre di più a vedere come un danno e non solo come un'opportunità l'automobile da tutte le parti, può ad esempio portare a sviluppare altre forme di mezzi di trasporto. Il nuovo ruolo che avrà l'agricoltura in una società postindustriale è rafforzato da tutti gli episodi di mucca pazza, cioè le catastrofi servono anche a far capire che altre forme di sviluppo dell'alimentazione, della chiusura dei cicli (dell'agricoltura, dei rifiuti, delle acque, dell'alimentazione), quindi del rapporto tra quantità e qualità, possono cominciare a produrre una situazione anche diversa della gerarchia delle merci. Oggi parlare di produzioni tipiche, di produzioni di qualità, non è più una cosa per iniziati, non riguarda più un mercato di nicchia: oggi esiste un turismo di massa che ha raggiunto la sua saturazione e un nuovo tipo di viaggio escursionistico, ambientale, enogastronomico che sta richiedendo per esempio una diversa qualità del cibo. E la gente stessa, sotto questi colpi dell'industria agroalimentare, sta interrogandosi sul fatto che non è più solo interessata a mangiare per mangiare, ma mangiare per salvaguardarsi la salute e per godere di un paesaggio. Inoltre si scopre che costa di più governare i disastri idrogeologici e la distruzione del paesaggio che non attribuire agli agricoltori i compiti di cura del territorio, e quindi sta nascendo una cultura della remunerazione pubblica, delle funzioni di produzione di beni e servizi pubblici da parte degli agricoltori. Io sto facendo in Toscana delle esperienze interessanti con un'associazione in cui non ci sono solo più soltanto agricoltori, sono come dei monasteri laici che impostano sul territorio funzioni complesse di recupero di edifici industriali. Per esempio, c'è un'associazione che si chiama "Radici" che lavora in Val di Cornia e sta costruendo un progetto sull'alimentazione proponendosi cinque o sei filiere agroalimentari di qualità, e nel contempo il recupero di questi edifici storici, poi ospitalità, cultura, convegni. Cioè, sta nascendo una figura di agricoltore colto che possiamo assimilare ai cistercensi o ai benedettini del Medio Evo: è un operatore culturale sul territorio che nel contempo opera qualità dell'alimentazione, richiusura dei cicli ambientali, quindi tipicità dei prodotti, salvaguardia idrogeologica, costruzione di paesaggio tipico. Il nuovo agricoltore acquisterà un diverso ruolo rispetto a quello che ha avuto nella società industriale, in cui aveva un ruolo marginale, oppure era operaio dell'industria agroalimentare di massa. Oggi sta nascendo qua e là una nuova figura, ancora in modi non molto sostenuti, perché la stessa sinistra non capisce queste cose, continua a considerare le campagne come realtà marginali. La sinistra ritarda molto in questi ragionamenti, pensa ancora che costruire quattro fabbrichette in Val Bormida sia la salvezza del futuro. Ci sono dunque molti ritardi culturali.
Nonostante questi ritardi credo che le trasformazioni culturali e le esperienze in atto porteranno un forte spostamento sulla gerarchia dello spettro merceologico,. Naturalmente non è un discorso vincente, è chiaro che ci sono dei contraltari nell'industria agoalimentare, nella manipolazione genetica, nei semi geneticamente modificati. Per esempio, la Monsanto continua a mettere in galera i contadini che si riproducono le sementi, fa processi, siamo ancora nella dominanza di una privatizzazione dei semi, siamo ancora in un'epoca in cui inquiniamo i fiumi. Però, ci sono molti germi societari su cui è possibile che si saldi un movimento dal basso di tante molecole produttive e associative, e un movimento dall'alto di istituzioni locali consapevoli, attente al proprio territorio e allo sviluppo autosostenibile, e quindi a dar voce a questo tessuto diffuso di società consapevole e di volontariato; società che però non ha ancora voce nelle contrattazioni dominanti, anche nei patti e negli accordi sindacali.
Quindi, io credo molto al ruolo del nuovo municipio, che sappia interpretare queste forze latenti e dar loro voce in questi tavoli di contrattazione; non per avere tavoli rivendicativi, ma più che altro tavoli di progetto, produttivi di territorio, di qualità della vita, di sviluppo, di nuove economie. Li vedo cioè come tavoli progettuali: questa saldatura tra contratto e progetto diventa la nuova forma della politica.

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