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INTERVISTA AD ALBERTO MAGNAGHI - 28 AGOSTO 2001


Qui in Langa è successa la stessa cosa con il tessile e le confezioni di Miroglio che ha piantato delle fabbriche a Cortemilia, dopo di che le ha spostate nel Terzo Mondo. Vedo una forte contrapposizione tra i modelli di cui parlo io, che vanno verso quella che chiamo globalizzazione dal basso, cioè una rete di relazioni che si vanno costruendo tra regioni, tra città, tra scambi solidali e non gerarchici, e il modello di uso dei territori, del locale, anche delle risorse locali, fatto dai processi di globalizzazione. E quindi parlo di conflitto che si sposta dal rapporto tra operai e capitale, verso il rapporto tra forme di autogoverno dei sistemi territoriali locali e forme di eterodirezione. Però, perché esista questo conflitto deve esistere una società locale consapevole di un proprio patto per lo sviluppo, che sia in grado anche di valutare se può piegare un'autostrada o un intervento esogeno, trattarlo rispetto ai propri obiettivi, o è un "ventre molle" che si fa attraversare da queste reti lunghe. Su questo abbiamo, in Italia, un lungo dibattito con i geografi, con De Matteis, poi con Bonomi, coi sociologi, con l'Aaster, con gli economisti distrettualisti (Becattini, Sforzi, ecc) Infatti, rispetto a questo rapporto tra locale e globale c'è ormai una lunga discussione e un'ampia letteratura, e non solo in Italia: è il tema centrale di dibattito. Poi ci sono queste teorie del glocalismo di Bonomi che teorizzano il rapporto tra reti lunghe e reti corte, io lo critico dicendo che se non ci sono le reti corte è inutile, anzi dannoso farsi penetrare da quelle lunghe. Discutiamo da anni su questo tema.
La mia tesi è un po' questa: in ogni epoca ci sono degli squilibri e delle sproporzioni, oggi è stato distrutto un tessuto locale di autogoverno, di culture, di capacità di autoriproduzione, e quindi il problema principale è quello di costruire i nodi della rete. Senza nodi, nelle reti lunghe i punti sono semplici crocevia attraversati da Tav, da multinazionali, da reti di produzione ingovernabili dal locale. Quindi, io insisto molto sul fatto che questa è una fase storica in cui bisogna fortemente lavorare al rafforzamento della percezione di sé delle società locali: parlo di patti, di costituzione, di statuti dei luoghi, non solo nel versante urbanistico ma anche sociale, economico ecc. Quindi, l'invenzione di economie. Per me oggi tutto il dibattito si svolge sulle nuove funzioni dei municipi, delle amministrazioni locali, attraverso i comuni, le province, le regioni. Parlo di neomunicipalismo nel senso che fino a qualche anno fa l'amministrazione locale governava i servizi, l'anagrafe, le strade, tutto ciò che non riguardava la scelta di un modello di sviluppo che veniva deciso altrove; oggi, di fronte a modelli di sviluppo che siano fondati proprio sulla valorizzazione delle risorse patrimoniali e sull'autogoverno delle popolazioni, l'amministrazione locale diventa qualcosa che guida il processo economico, che inventa lo sviluppo, che decide insieme a queste nuove forme di democrazia quale sviluppo, cioè se in queste valli mettere delle fabbriche, mettere delle produzioni tipiche o cosa fare. Allora, questo apre un campo completamente nuovo di rapporti sociali tra pubblico-privato, diventa una situazione nuova anche per il concetto stesso di politica, di ruolo delle avanguardie, del rapporto cultura politica e produzione tecnica. Io credo di far politica in questi luoghi occupandomi di come restaurare i terrazzamenti, delle tecniche per rimetterli in produzione, perché con questo penso alla valorizzazione di un patrimonio millenario; mettendo insieme la salvaguardia idrogeologica, la valorizzazione del paesaggio, la ricostruzione di un mondo rurale e quindi la rivitalizzazione del ruolo dell'agricoltura, riunendo dunque insieme tanti obiettivi e valorizzando la figura di abitante-produttore. Apparentemente uno può chiedersi che cosa c'entri fare politica con i terrazzamenti, e invece ho l'idea che ricostruire capitale fisso sociale autogovernato da parte delle popolazioni sia un progetto politico importante. Infatti, nella conclusione politica di quel libretto, "Il progetto locale", parlo di "coscienza di luogo", il che è una metafora, è il superamento della coscienza di classe verso la coscienza di luogo: ciò per dire che da questo neoradicamento può venire un tipo di relazioni globali diverse da quelle attuali che invece portano appunto processi di distruzione di risorse sia ambientali che umane.

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