Quali sono stati i tuoi percorsi successivi? Nel '77 esce da Moizzi "Identità e feticismo", un libro importante sia per la critica ad alcuni aspetti di un Marx da te conosciuto in maniera profonda, sia per l'iniziale apertura a Jung da una parte e a Nietzsche dall'altra.
Lì non c'è stato nessun percorso, perché praticamente dal '75, quando io smetto, al libro che poi è scritto nel '76 non ho fatto altro (va beh, poi tenevo famiglia, lavoravo, quello è un altro discorso) che cercare di pensare: mi sembrava che fosse un compito necessario per me sicuramente e anche per gli altri, per dare una qualche motivazione a se stessi e del percorso precedente e di qual era l'impiccio. L'impiccio in "Identità e feticismo" è quello che comunque continuo a dire adesso, cioè in sostanza lì l'idea è addirittura che in Marx ci sia dal punto di vista razionale una teoria della non rivoluzione, cioè perché la rivoluzione non si può fare e quindi perché invece il capitalismo deve vincere, e non si capisce da dove diavolo si possa uscirne. E' un'idea un po' paradossale, ma che vede in Marx invece la spiegazione vera del perché il capitalismo c'è e vince e non c'è niente da fare. Proprio perché secondo me lì c'è anche una teoria della soggettività adeguata al capitale dentro la categoria di feticismo (adesso è inutile che mi dilunghi su questo), e l'idea quindi che, se si vuole fuoriuscire, bisogna criticare questa teoria, ma su questi punti soprattutto, e aprire una nuova teoria della soggettività. Lì Nietzsche fa soltanto da strumento per aprire una dimensione che non sia parziale ma che sia una dimensione integrale di che cosa bisogna sovvertire. Poi, per altri versi ci sono aspetti che per quello che ci interessa qui adesso sono comunque collegati a tutto ciò, perché una disfatta è una disfatta collettiva, ma naturalmente è anche una disfatta dei singoli, almeno personalmente lo era. Con tutti gli errori possibili e immaginabili fatti, una sola cosa non posso rimproverarmi, e cioè di non averla fatta con tutto il cuore, di non averla fatta, come dice la Scrittura, con tutta l'anima. Ci sono rimasto triturato in mezzo, ciò complicato da altre vicende personali che non si possono addebitare alla questione collettiva né ho nessuna voglia di farlo, però certamente c'è una coincidenza in quegli anni tra una parte di vita che finisce e, collegata con questa ma assolutamente non dipendente meccanicamente in nessun modo, il fatto di trovarsi senza strada, avere un po' distrutto ponti alle spalle pensando di andare da qualche parte e non sapere più dove andare. "Identità e feticismo" sta lì e sta nel tentativo di cominciare a costruire un nuovo orizzonte diverso sia collettivo che individuale; da lì poi ho cominciato a fare l'analisi personale per rimettere insieme cocci della mia psiche frantumata, nel frattempo ho avuto questa fortuna di avere un incarico in Calabria, prima insegnavo nella bassa lodigiana, a Seregno. Da lì è partita tutta un'altra avventura, da un lato quella analitica, quella religiosa anche, la ripresa di cose precedenti: senza rinnegare l'aspetto utopistico (anzi, al contrario), non mi sembra più che il marxismo sia una scienza della rivoluzione, magari è una buona scienza del capitalismo ma non della rivoluzione, e forse la rivoluzione non ha una scienza, è una cosa diversa, ha dei desideri, delle utopie, dei progetti e va concepita secondo tempi diversi, tempi che non sono soltanto al futuro della specie ma anche davanti e dietro, dietro nel senso di momenti che prefigurano o magari non prefigurano niente, ma sono in se stessi qualcosa di diverso, dove si può vedere un'immagine di una convivenza dignitosa e tendente alla libertà. Quindi, solidale e tendente alla libertà, la libertà che in qualche modo sta insieme alla solidarietà o la solidarietà che in qualche modo sta insieme alla libertà. Ecco, è diventato questo, quindi i tempi sono diventati geologici, il punto dell'unificazione come unificazione nel profondo, che è abbastanza legato anche a una fase della fine politica e a una discussione fatta con altri allora; per me era un segno inequivocabile il fatto che alcune persone avessero una certa storia, che se ne andassero, che non capissero più alcunché, entrassero in varie forme di crisi, anche tragica. Qui poi c'è tutto un aspetto che rimane sempre in ombra: la nostra generazione non ha fatto la guerra, però ha avuto diverse guerricciole di forma diversa, non solo la questione della lotta armata, ma certamente anche quella della droga per esempio, altre questioni che sono più sotterranee, che non si sono viste ma che ci sono, molti di noi hanno pagato in forma diversa un peso grosso della sperimentazione anche fatta sul piano dei rapporti personali, dei rapporti amorosi, un peso che grava e ha gravato. Insomma, ci sono molte biografie segnate.
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