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INTERVISTA A ROMANO MÀDERA - 2 DICEMBRE 2000

Ciò impegnandosi però in concreto, allora il PCI diceva sulla riforma fiscale certe cose, ebbene noi ne dicevamo altre: questo qui fu un lavoro fatto, a partire da quello che si chiamava ancora collettivo Sempione, "Documento sulla riforma tributaria". Ciò aveva un certo ruolo anche nei confronti del lavoro nel sindacato: noi non attaccavamo i consigli, anzi vi eravamo favorevolissimi, questo anche Il Manifesto, la differenza era a proposito di quest'ultima questione, le riforme o non le riforme, quindi eravamo più a "destra" de Il Manifesto. Sulla questione dei consigli e del sindacato invece noi lavoravamo all'interno. Un momento però, all'interno non voleva dire dentro il consiglio, dentro il sindacato e basta, ma voleva dire che noi facevamo degli organismi che però non a caso si chiamavano politici: questi collettivi politici che facevamo noi costituivano una differenza per noi politica, non era un altro sindacato, in nessun modo. Anzi, era l'idea che, siccome questi dovevano essere uniti su un programma di fabbrica, di categoria e tendenzialmente generale, secondo noi erano la formula da dove doveva nascere un'unificazione interna agli operai d'avanguardia, che poi doveva trovare delle mediazioni di programma con gli altri organismi autonomi, per poi formare un'organizzazione unitaria; ma ciò da un punto di vista politico, è chiaro che interveniva anche su questioni sindacali, ma non aveva bisogno di costruire nessun'altra forma di organizzazione di base parasindacale. Lì ci sono state esperienze interessanti e importanti da ogni punto di vista, quello è stato forse l'aspetto direi ancora oggi più bello, più intelligente, anche più serio per diversi aspetti, sia per quello del lavoro di crescita ma anche per il lavoro di rapporto di crescita delle persone: a questa prima fase del Gramsci a ciò sono affezionato, perché c'era dentro anche un'attenzione per la crescita personale dei singoli, forte, anche perché essendo degli organismi "politici" non avevano bisogno di raggruppare poi tanta gente, quindi era anche della gente capace, intelligente, degli operai notevolissimi, alcuni veramente persone geniali. Qualcuno dell'Alfa Romeo si ritrova anche nel libro di Gad, "Operai", quando poi escono dalla fabbrica. Parlo dell'Alfa perché io intervenivo lì, alla Face, alla Siemens, ma questo era abbastanza vero in generale. Dunque, la terza cosa è la questione delle riforme.
Nell'esperienza del Gramsci c'era un altro aspetto di vita interna del gruppo che era più formale, però c'era una certa ritualità e formalità interessante: per esempio, ogni mese noi rinnovavamo con votazione ufficiale le cariche. Il Gramsci era un piccolo gruppo, anche nazionalmente mettiamo che tra gruppo e collettivi saremo stati mille persone, gruppo soltanto saremo stati 400-500-600, insomma grosso modo quelli effettivi. Però, all'interno c'era una vita, almeno apparentemente, fortemente democratica, c'era questo fatto di rinnovare ogni mese tutti gli organismi che poi erano gli esecutivi e l'esecutivo nazionale, poi magari c'erano sempre le stesse persone, però il fatto di doverle votare ogni mese era un po' questa idea qua. Come anche il fatto che questo era un gruppo antigruppo, cioè un gruppo che aveva come sua finalità lo sciogliersi in quell'organizzazione unita sul programma. In realtà tutto ciò avvenne, però avvenne in una forma assolutamente affrettata e spinta dai tempi. Una delle cose importanti era che questo tipo di attività anche sul piano politico immediato certi risultati li aveva: per esempio, nelle grandi fabbriche spesso vincevamo contro il sindacato le consultazioni sulle piattaforme, quindi voleva dire che poi questi qua andavano in assemblea e vincevano, non era una cosa da ridere. Questo era un aspetto di successo, però alla fine del '73 c'era stata nel frattempo l'occupazione della Fiat e la fine di quella lotta, e l'idea che serpeggia, che evidentemente si sente e che dopo è anche in qualche modo teorizzata, è: "attenzione siamo a un culmine, da adesso ci sarà una discesa nelle lotte operaie", analisi che non è a quel tempo mi pare condivisa da molti, forse da nessuno, non lo so, non mi ricordo bene, fatto sta che la nostra era così, lo sentivamo, l'analisi è un riflesso di quello che si sente. Si sentiva insomma, l'atmosfera stava cambiando, l'idea di ripartire, le contrattazioni integrative, le lotte fabbrica per fabbrica c'era sicuramente, ma c'era qualcosa che con quell'episodio della Fiat era in qualche modo finito. C'erano anche analisi, per esempio sull'Alfa e la Fiat avevamo fatto ed era stato anche pubblicato sulla rivista del gruppo (Rassegna Comunista si chiamava), un'analisi degli sviluppi dell'automazione nell'automobile, che diceva grosso modo come secondo noi quell'esperienza stava per essere colpita e trasformata in modo forte, quindi questo confermava quello. Dunque, un po' riflessione un po' a naso, questa era l'idea. Allora, anche per dinamiche interne al gruppo (una qualche stanchezza, questioni con i torinesi malriuscite e malmesse), a un certo punto viene fuori l'idea di bruciare i tempi, quindi di passare allo scioglimento del gruppo e di aprire il giornale che era del Gramsci, Rosso, agli altri organismi. Quindi, bruciare i tempi, una specie di autosacrificio esemplare. Il gruppo ha azzerato puntando solamente sul coordinamento degli operai e degli studenti pensando di poter, trattando e facendone quindi uno nuovo, coinvolgere altra gente.

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