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INTERVISTA A ENRICO LIVRAGHI - 7 SETTEMBRE 2000


Questa è una cosa che non ha fatto l'operaismo negli anni '60, non ha mai dimenticato che il lavoro vivo e il lavoro astratto coincidevano nelle forme del fordismo, e che la soggettività operaia aveva strappato questa maschera; non ha mai dimenticato cioè che la classe operaia era anche riduzione a merce, e che la soggettività operaia si esprimeva anche come negazione di sé in quanto forma del capitale. Non si può minimamente dimenticare che cos'è la formazione capitalistica. Ripeto, non si può dimenticare l'analisi della merce, e in particolare della merce forza-lavoro, e non si creda che sia stata fatta una volta per tutte.
Poi ci sarebbe un'altra cosa, e qui andiamo su un terreno apparentemente diverso, ma che in realtà è il fondamento di tutto il processo. Penso che un altro dei nodi da sciogliere sia la messa a punto del concetto di astrazione del capitale. Qui, dal momento che sono molto d'accordo con lui, invito a leggere Raffaele Sbardella (anche perché io stesso ho intravisto questa analisi già vent'anni fa). Il concetto di astrazione del capitale va messo a punto, non si tratta solo delle astrazioni determinate o indeterminate: si tratta proprio dell'idea che il capitale è un'astrazione storica e logica, una vera e propria ipostasi del reale, che le ipostatizzazioni del pensiero non sono altro che la riproduzione, il ricalco di tale astrazione. In una sede come questa io trovo giusto che tutte queste cose si dicano, e trovo anche giusto che un lavoro di ricerca e alcuni itinerari personali che sono stati silenziosi fino ad ora comincino ad essere messi in gioco. Quindi, trovo giusto anticipare queste cose anche se in modo appena sbozzato, perché sono discorsi che oggi devono uscire allo scoperto, non possono più rimanere chiusi in qualche nicchia, perché secondo me siamo forse di fronte a qualcosa che si muove. Credo che questa specifica globalizzazione non sia così pacificamente il futuro immediato di tutti e il futuro radioso del capitale, pur essendo inscritta nei suoi geni fin dall'origine; avrà qualche problema secondo me, spero che lo abbia, e vedo che comunque qualcosa si muove, si è messo a respirare qualcosa che era latente e sopito da un po' di anni. Quindi, bisogna anticiparle e tirarle fuori alcune cose. Buttandola lì, ripeto, l'idea è che adesso bisogna mettere a punto anche il concetto di astrazione del capitale. Se bisogna rileggere la storia della filosofia insieme alla storia operaia, facciamolo, la ricerca richiede anche questo; se dobbiamo rivedere una storia che è stata messa in gioco quarant'anni fa, rivediamola.


Non in forma di ricostruzione storica ma con un'analisi critica nell'oggi, secondo te quali sono stati i limiti e le ricchezze dell'esperienza operaista? Quanto tali limiti e ricchezze possono essere utili nell'attualità e per un'analisi e una ricerca proiettata verso il futuro?

Se devo essere sincero non vedo limiti in questa esperienza, né in quella dei Quaderni Rossi né in quella di Classe Operaia, perché i limiti erano già impliciti nel progetto. Soprattutto in Classe Operaia i limiti erano già consapevolmente anticipati. Tronti era consapevole della caducità di questa esperienza, del fatto che essa non poteva che essere limitata nel tempo. E lo era perché questa esperienza dal punto di vista di Tronti aveva di mira il partito della classe operaia, che era il PCI, la formazione di un quadro che entrasse nel partito egemonizzandone la cultura e il progetto politico. E qui il limite è implicito, e forse c'è anche un limite non vorrei dire di presunzione, perché mi sembra ingeneroso, però un limite che sconta una certa volontà di potenza se vogliamo dirla così; ma forse, più che altro, è una certa volontà di potenza che si scontra con un limite. Ma, al di là di questo, che Classe Operaia fosse un'esperienza a temine lo dimostra innanzitutto il fatto che un certo gruppo esce dai Quaderni Rossi, e non vi esce solo perché i Quaderni Rossi prendono una certa piega sociologica, non intendono praticare un'esperienza sul campo, di intervento nelle lotte, con tutti i suoi limiti; ma vi esce secondo me proprio perché anche l'esperienza dei Quaderni Rossi per alcuni dei suoi esponenti (Tronti, Negri, forse lo stesso Panzieri) doveva finire. Così, doveva finire anche Classe Operaia. Però, la ricchezza rimane perché rimane quella che è stata una scoperta, che è il rovesciamento trontiano del rapporto fra i movimenti di classe e i movimenti del capitale (che probabilmente Tronti stesso oggi non condivide più, l'ho già detto). Era un'ipotesi stravolgente quella scoperta, quella lettura di Marx, malgrado il suo sapore vagamente hegeliano, come aveva detto Panzieri. Una scoperta che oggi si può anche considerare, da un certo punto di vista, piuttosto devastante per Tronti stesso, visti gli esiti politologici. Attraverso quali passaggi Tronti arrivi a questa lettura adesso non è in discussione: io penso che senza una immersione nel e una riemersione dal dellavolpismo, io penso che senza la "Kritik" del '43, per esempio, Tronti non avrebbe maturato questo passaggio (e lasciamo stare Nietzsche, Husserl, ecc. che pure hanno a che vedere). E' un pensiero mio personale che senza Della Volpe da una parte, e senza la presa di distanza e la consapevolezza dei confini del dellavolpismo dall'altra, Tronti non sarebbe arrivato alla lettura e anche alla forzatura di questo Marx.

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