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INTERVISTA A ENRICO LIVRAGHI - 7 SETTEMBRE 2000 |
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Ma a questo proposito mi viene sempre in mente una frase di J.G. Ballard, che pressappoco diceva, a proposito della microelettronica, che è come se l'intelletto umano avesse dato in appalto alcune sue funzioni, avesse creato delle aziende di subappalto che poi possono consorziarsi e confliggono con l'azienda madre. Qui diventa un po' più complicato scoprire il segno capitalistico di questa virtualizzazione; però, uno che ci arriva molto vicino è Paul Virilio, forse proprio perché ha una base religiosa. Insomma, diciamo che c'è un bel terreno su cui arare. A mio parere è molto sintomatico il fatto che comunque questi problemi in Italia li abbiano intuiti - magari equivocati - gli eredi della tradizione operaista, neo-operaista: tutto sommato questa cosa mi riconcilia un po' con il presente perché trovo che bene o male la tensione verso l'antagonismo non sia completamente spenta.
Come sottolineavi tu, in quasi tutti i discorsi che negli ultimi anni sono stati fatti rispetto alle tecnologie c'è (con varie sfumature) una sostanziale esaltazione dell'innovazione, che è per sua natura capitalistica, e di completa sottovalutazione di quello che è il segno e la dimensione di campo. Considerando invece l'ambivalenza delle tecnologie, come è possibile sviluppare un punto di vista di parte? E' secondo te possibile pensare ad un loro controuso?
Non ne ho la minima idea, anche perché (e qui faccio un'ulteriore aggiunta) non sono convinto che si possa praticare un uso alternativo delle tecnologie. Intanto io penso che nulla sia irreversibile, e lo penso non in astratto ma in concreto. Per esempio, il nucleare in via di reversibilità ne rappresenta una testimonianza. In secondo luogo, io penso che questa innovazione sia capitalistica, e che storicamente sia prodotta in questa forma determinata con un segno capitalistico. Non escludo che si possa trovare il punto di rottura, o addirittura che il punto di rottura sia già implicito; ho invece qualche dubbio sul fatto che si possa praticare un uso alternativo di questa tecnologia. Io veramente oggi avanzo le mie riserve. Perché questa tecnologia e non un'altra? Se si risponde che questa tecnologia è un dato, allora è come dire che il reale è razionale e il razionale è reale, vecchia storia, non vorrei ritornarci. Però, sembra che nella sinistra in generale, e in particolare nella sinistra istituzionale, ma in forme contorte e comunque abbastanza insinuanti anche nella sinistra cosiddetta antagonista, sia passata questa idea della tecnica come figura oggettiva di uno sviluppo evolutivo naturale (già dato in mente Dei?): questa è la tecnologia, non ce ne sono altre. Quindi, non so se si può praticare un uso alternativo di questa tecnologia. Penso che si possa trovare il punto di rottura di questa tecnologia, anche perché, forse, le sue forme già se lo portano in corpo. E qui mi sono perfettamente chiare le ragioni di quelli che vogliono afferrare solo l'impronta, si diceva una volta, direttamente operaia di queste forme, perché questa tecnologia è qualcosa che si accumula e procede anche sulla banalissima base di capitale investito, e quindi di lavoro passato, e magari trapassato. Dunque, c'è un fantasma, c'è lo spettro del lavoro morto lì dentro. Però, c'è anche un altro aspetto per cui tentare di mettere in gioco il lato antagonista di questa duplicità: io credo che l'innovazione capitalistica si produca nel momento stesso in cui il ciclo di lotte operaie non è più governabile, non è più controllabile con la vecchia forma di organizzazione del lavoro. L'innovazione capitalistica ha questo segno nel profondo, quindi ha un segno operaio, ha il segno del negativo. Quello che non bisogna lasciarsi sfuggire è l'altro passaggio simultaneo: è la riduzione al corpo incorporeo della valorizzazione che si ricongiunge con momenti di alta coscienza capitalistica di questo segno operaio. E' quello che è avvenuto negli ultimi trent'anni e che non si può ignorare né sottovalutare né dimenticare, cioè il segno capitalistico della soggettività, ancora una volta ridotta a merce. Ed è sconvolgente che la soggettività, il vivente-uomo, venga messa totalmente al lavoro come processo di valorizzazione del capitale stesso. Non si possono dimenticare questi due aspetti, non si possono scindere, separare, e vedere l'uno ignorando l'altro.
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