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INTERVISTA A ENRICO LIVRAGHI - 7 SETTEMBRE 2000


Non solo, ma il riprendere in mano il concetto di forza-lavoro alla luce di queste due risposte che possono diversificarsi implica una direzione o un'altra. Le forme del capitale del nuovo millennio sono quelle del capitale cognitivo, tesi avanzata da più parti, e ormai mediaticamente volgarizzata, oppure è questa forma del capitale cosiddetto cognitivo che incorpora, più o meno consapevolmente, maschera anzi, qui ed ora, quel famoso lavoro intellettuale, quel famoso "intelletto generale" che finisce per essere produttore di innovazione capitalistica e solo di innovazione capitalistica e sempre di innovazione capitalistica? Sono due cose diverse: va a farsi benedire la produzione di soggettività antagonista in questo caso. Qui non si può più parlare di produzione di soggettività antagonista: se in realtà i saperi, la potenza dell'intelletto generale, in rete, peraltro, quindi arte-fattuale (questo è poi un terreno sul quale bisognerebbe fare una parentesi, perché si lega alla sottovalutazione della forma-merce), se questa potenza dell'intelletto generale produce continua innovazione nella tecnologia-merce, non solo, ma innovazione di merce, cioè innovazione capitalistica, ebbene qui siamo su un terreno minato. Perché a me sembra che queste schegge di potenza del sedicente General Intellect si attualizzano precipitando sempre di più la loro soggettività nel processo (nuovo?) di valorizzazione, in quanto "governate" dal movimento "fuori di sé" e dal "ritorno in sé" del processo del capitale informatizzato, digitalizzato, retizzato e ancora e sempre accumulato . Se invece il capitale cognitivo è qualcos'altro bisognerebbe una volta per tutte chiarirlo, bisognerebbe fondarla questa cosa.
Io non vedo un passaggio pratico in questo momento perché non vedo come si possa mettere in circolo una consapevolezza, se non una coscienza, delle nuove forme della subordinazione al capitale, o se si vuole delle forme compiute della sussunzione. Forse bisognerebbe prima porsi questo semplice quesito: qual è la differenza specifica che marca la forma-lavoro del capitalismo dell'era telematica? Se non si vede che siamo di fronte a una moderna/arcaica forma di metafisica macchinale, si evoca una potenza messianica della soggettività e del nuovo proletariato e si può sfociare in una "vecchia" forma di teologia. Io vedo questo rischio, l'ho già scritto e lo ripeto qui.
Non so dire cosa si potrebbe fare. Secondo me il terreno su cui oggi non si è riflettuto a sufficienza è quello che viene generato dalle cosiddette nuove tecnologie, è questo che manca. E' qui dove la sinistra antagonista, diciamo, i suoi eredi o quelli che dovrebbero essere ancora rappresentanti dell'antagonismo al capitale, hanno mancato di riflettere; questa riflessione è mancata completamente. E' qui che sono subalterni da punti di vista che sono opposti all'antagonismo. Il maestro qui è Pierre Lévy, sono i teorici del virtuale, lo sono di fatto, perché non si è riflettuto sul virtuale se non per accenni, se non per passaggi rapidi. E soprattutto non si è riflettuto sul virtuale come merce. Quindi, è proprio questo il lato che secondo me manca a questi compagni, non vedono nel virtuale il lato mercificato, il suo condividere lo statuto ontologico (e teologico) della merce: vedono nel virtuale-immateriale-digitale solo il potenziale di esaltazione e di moltiplicazione della soggettività, la quale è in sé immateriale, così ricadono nella tautologia. Dicendolo in un altro modo, non vedono nella crescita, nell'allargarsi, nell'accumularsi delle figure della virtualità tecno-macchinale una nuova forma di trascendenza: eppure questa sta esattamente dentro i presupposti ontologici della virtualità elettronica, cioè della virtualità numerico-digitale, ci sta in modo netto e dichiarato. La dimensione angelica della navigazione in rete di cui parla Lévy è tale perché così si appare, e appare come si presenta. Il modello, quello vincente, non sono gli hackers: sono le Borse mondiali, e i navigatori dell'autovalorizzazione del denaro. Questo è l'altro aspetto della cosa. Io insisto: basta prendere il modello di virtualizzazione di un'azienda per capire che cosa si perde e che cosa si guadagna e chi governa la virtualizzazione: qualcosa che sta al di là e che si pone come un prius rispetto all'attualità. Il motore mobile di questa virtualità è qualcosa che trascende l'attualità, che si pone come il principio della sua nullificazione, che la riduce a non-essere, è una virtualità del capitale, è il capitale qui ed ora che produce i processi di virtualizzazione: in un'azienda questa è una cosa evidentissima, che tutti possono capire, mentre diventa un po' più complicata quando si virtualizzano le funzioni del soggetto, intellettuali, linguistiche e fisico-corporali.

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