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INTERVISTA A ENRICO LIVRAGHI - 7 SETTEMBRE 2000


Il guaio è che Tronti poi ha creduto di oltrepassare questo ancoraggio mollando gli ormeggi senza trovare la rotta. Ed è incappato in qualche tempesta, ma soprattutto nelle bonacce del pensiero autarchico Ma comunque questa cosa non è in discussione, e quella rimane una ricchezza. E' una ricchezza che produce ancora qualche residuo, contorto se si vuole, ma produce. Dietro a certe esperienze intellettuali d'oggi c'è quell'idea, c'è quel concetto trontiano, per quanto lo si possa negare. Anche il lavoro di Romano Alquati produce ancora ricchezza, altroché se produce: secondo me ancora adesso non si è misurata la portata di quel lavoro, perché ha fornito la base reale, concreta, materiale su cui i Quaderni Rossi e soprattutto Classe Operaia hanno elaborato i loro concetti. Un lavoro enorme. Ma scusate, si veda il progetto di inchiesta che propone oggi Posse: sì lo so che c'è l'inchiesta operaia di Marx, il modello è marxiano, ma passa attraverso il tentativo di attualizzazione che ne ha dato Romano con la conricerca. Questa è ricchezza. A me non interessa altro di quello che ci può essere stato all'interno dell'esperienza di Classe Operaia, quello che mi interessa è questa cosa, che oggi la condivida o meno. Mi interessano anche le contraddizioni che ha prodotto all'interno dell'area ex operaista, e anche gli slittamenti tautologici che produce tuttora; però è questa.


Tra le figure e gli autori con cui confrontarsi, uno che ormai viene fuori molto raramente è Lenin: una sua lettura critica dopo un certo periodo è stata abbandonata. Che importanza ha avuto allora la lettura di Lenin? Che importanza può secondo te avere oggi?

La funzione che aveva Lenin nella testa di Tronti e che si esprimeva in "Lenin in Inghilterra" è evidente: era la ripresa di un'autonomia del politico dentro il partito, di un'autonomia della politica e quindi dell'iniziativa politica del partito, e l'iniziativa politica aveva quel segno operaio. Lì è chiaro. Io non ho più riflettuto su questa vicenda di Lenin, se non sul fatto che trovo abbastanza ingeneroso che Lenin oggi venga considerato un cane morto. Facendo una considerazione generale, è chiaro come le figure che hanno rappresentato un certo processo storico vengano travolte dal crollo di quel processo. Però, Lenin è anche quel teorico di cui ha messo in chiaro i pregi e i limiti il vecchio Colletti (che adesso questi sia un patetico conservatore non cancella i libri che ha scritto). Francamente io non ho mai più riflettuto su Lenin e non so come potrebbe avvenire una rilettura critica di Lenin oggi. Forse nei termini che ha proposto Tronti negli ultimi vent'anni. Lì siamo però veramente (qui lo dico in modo molto chiaro) nel lato oscuro del trontismo secondo me, perché l'autonomia del politico nel momento in cui si è separata dal suo fondamento di classe, che era ben chiaro negli anni '60, si è confusa con l'autonomia del partito, prima dalla classe, e poi dal sociale in genere, con gli esiti "radiosi" che ha avuto. Tronti non ha fatto altro che predicare al PCI, in seguito al PDS e adesso non so più, modelli di iniziativa politica e di autonomia della politica; ma ha predicato nel deserto perché il risultato è Veltroni o se si vuole D'Alema. Per cui se questo modello di autonomia del politico è quello che esce dall'eredità del leninismo io mi ritraggo, mi ritiro, esprimo qualche perplessità; se c'è altro non lo so, non ho più riflettuto su Lenin.


Qual è stato il tuo percorso successivo alla fine di Classe Operaia?

Dopo la chiusura di Classe Operaia, se non ricordo male alla fine del '65 o nel '66, la breve fase pre-'68 ovviamente è stata di partecipazione febbrile a non so più che cosa, però segnata sempre da quella esperienza, dal fatto che comunque quella esperienza si era chiusa e che però aveva in ogni caso aperto qualche luce. Poi io nel '70 sono entrato nel PCI, ci sono stato qualche anno a fare dell'entrismo trontista per nulla, cioè posso dire a posteriori per nulla. Personalmente ero in una posizione molto precaria perché i miei amici e i miei compagni erano altri; non ero solo perché c'era stato un entrismo di persone anche molto più giovani che però, arrivate dal '68, avevano percepito immediatamente la densità dell'esperienza operaista.

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