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INTERVISTA A CLAUDIO GREPPI - 23 SETTEMBRE 2000


Giovanni era un ragazzo vivacissimo, molto più portato di me a chiacchierare, a fare amicizia, a discutere, poi forse anche più motivato, probabilmente in molte di queste cose che sono successe mi ha trascinato spesso lui più di quella che magari era la mia intenzione. Lui poi studiava Storia, quindi magari era anche più motivato direttamente in queste cose. E' morto a venticinque anni e ha lasciato una traccia di quella che sarebbe stata la sua tesi sulla classe operaia a Piombino; Giovanni era quello che andava di qua e di là, aveva moltissimi contatti. Quando questo ragazzo è morto ci siamo trovati con un grande vuoto e c'è stata l'idea di fare una specie di piccola fondazione che si chiamava Centro Giovanni Francovich, per il quale abbiamo facilmente ottenuto anche un po' di finanziamenti attraverso il giro delle famiglie del Partito d'Azione fiorentino, da cui veniva Carlo Francovich, suo padre, poi c'erano tutti questi personaggi ormai storici, Codignola, Agnoletti ecc., che contribuirono volentieri. Insomma, ci fu questa fondazione che fu una sede, quindi dal '66 e fino al '67-'68 la sede non fu più lo studio degli studenti di Architettura ma il Centro Francovich. L'abbiamo sprecata come occasione, un po' forse la colpa è di Lapo Berti, che doveva essere quello più motivato a renderla una cosa che producesse cultura, lì bisognava fare questo; invece, ci siamo limitati a comprare un po' di libri, fare delle riunioni, dei convegni che non sono mai stati pubblicati e di cui ho le bobine. A ripensarci quella fu una grande occasione mancata. Un po' diciamo che fu travolto questo Centro che doveva essere contemporaneamente un centro studi con alcune caratteristiche più informali, e anche però un luogo di incontro; e luogo di incontro lo era, ci si vedeva tutti tutte le sere, era in una piazza abbastanza accessibile di Firenze (piazza della Libertà), in una sede che era del circolo Rosselli, nasceva appunto un po' dentro il filone del Partito d'Azione però con nostra totale autonomia. Praticamente c'era un gruppo di noi che più o meno tutte le sere prima di andare a casa passava di lì, era un punto dove circolavano informazioni, idee, si facevano questi convegni, c'era chi veniva da fuori, poi Firenze è a metà tra Roma e Milano, quindi più o meno era comodo per tutti fermarsi lì, fare un punto di aggregazione che ha funzionato abbastanza bene. Non ha funzionato l'altro aspetto, quello di produzione effettivamente di teorie, di cultura, di formazione: da questo punto di vista è stata un'occasione sprecata. Lapo a un certo punto aveva proprio il compito di fare da funzionario (prendeva anche dei soldi, pochissimi figuriamoci), e forse se ci fossimo dati un po' più da fare sarebbe stato molto più interessante.
Nel frattempo invece si esauriva Classe Operaia, chiudeva ufficialmente: Classe Operaia è l'unica rivista che io conosca che sul numero ultimo c'è scritto "numero ultimo", non c'è scritto "riprenderemo le pubblicazioni appena possibile", c'è scritto invece "questo è l'ultimo numero e punto". Questo mi piace molto ricordarlo, perché le riviste eterne penso che siano un disastro; questa era una rivista che nasceva nel '64 ed è morta nel '67, per autodecisione. Questo Centro Francovich poteva onestamente essere qualcosa di molto più ricco di stimoli; fu in gran parte travolto da questa ventata sessantottina in cui non c'era tempo per fare le ricostruzioni intelligenti e creative, il '68 aveva bisogno di parole d'ordine, anche quelle che Piperno chiamava le stupidate condivise da centomila piuttosto che le verità (poi non sarebbero state verità, in questo si sbagliava, erano piuttosto dei dubbi) condivisi da poche persone. Rileggendo anche stamattina il documento che mi avete mandato ho visto che giustamente parlate di autocritica, ce ne sarebbe da fare tanta; almeno per quanto mi riguarda credo che il grosso errore sia di aver capito pochissimo il ruolo della formazione, di averlo snobbato. Per esempio, nel '68 gli studenti erano carne da macello; quelli di Torino, Guido Viale e gli altri, parlavano del "potere studentesco", che ovviamente per noi era una mostruosità lessicale, ma viceversa nella versione che ho conosciuto io l'idea era che gli studenti servissero esclusivamente per fare il volantinaggio. Erano proprio brutalmente manovalanza politica, a cui era sufficiente sfornare ciclostilati in cui era contenuta qualche citazione, qualche slogan, qualche cosa che gli serviva anche per dare gli esami. Io tra l'altro non insegnavo ad Architettura, ormai ero laureato ed ero assistente a Magistero, che era ancora una facoltà praticamente di educande, poi cambiò in quegli anni, ma insomma quando sono arrivato c'erano le mamme che snocciolavano il rosario mentre si facevano gli esami, si era a questo livello qua, e Architettura ovviamente era un'altra cosa. Allora, quando cominciarono i fatti politici ovviamente io andavo a vedere cosa succedeva ad Architettura, e qui si arrivò al punto che la gente dava gli esami sui ciclostilati che gli fornivamo noi, magari con testi di Alquati o di Tronti, e davano l'esame di composizione architettonica!

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