Uno dei problemi più complicati che c'è sempre stato negli interventi politici di matrice operaia in Toscana era Prato, questa città con 50.000 operai tessili dove, per distribuire mille volantini, ci volevano due giorni perché non li trovavi mai, andavi alla sei di mattina davanti ad un cancello di fabbrica e ne passavano tre, andavi in un altro e ne passavano due; non vedevi mai una circolazione capillare e distribuita nello spazio e nel tempo, non esisteva l'idea della porta due. Questo era uno di quei problemi che non si sono risolti mai; mentre magari in certe fabbriche eravamo in qualche modo alla pari con il sindacato come possibilità di dialogo, di incontro con gli operai, invece a Prato non era per niente così, non c'erano, eppure era la più grossa concentrazione operaia della Toscana.
Per me quello fu il periodo più ricco di elementi di formazione mia, ma credo che (anche se non rileggo mai quello che ho prodotto allora) fosse così pure per le cose che si scrivevano su Classe Operaia o collettivamente, cioè lavorando in due o tre, o anche da solo qualche volta. Forse su Contropiano a un certo punto mi ero sforzato, ho scritto un articolo, una specie di saggio che mi costò una fatica improba per tutta un'estate (mi sembra che fosse il '67), insomma era il momento un po' di tentare di costruire un ragionamento, almeno nelle intenzioni, abbastanza coerente tra analisi teoriche, esperienze pratiche e anche competenze in qualche modo se non professionali comunque specifiche. In quegli anni cercavo anche di collegare ciò al fatto di uscire dalla facoltà di Architettura, di avere bene o male a che fare e anche conoscenze, amici dentro il giro degli studenti di Architettura. Per inciso posso raccontare che con questo gruppo che ci chiamammo Lega Studenti Architetti, che serviva da sede alla redazione di Classe Operaia, una volta si prese e si andò alla Camera del Lavoro chiedendo l'iscrizione alla FILLEA (il sindacato lavoratori del legno, edile e affini): come studenti di Architettura ci volevamo iscrivere al sindacato degli edili, ci dissero di no, che non ne volevano sapere. C'era questa tensione, con il Movimento Operaio ufficiale non tanto perché ci guardavano con sospetto però, almeno qui a Firenze, non c'era uno scontro, soprattutto con i sindacalisti, i politici li conoscevamo poco. Bartolini, che poi è stato presidente della Regione Toscana negli anni '80, era segretario della Commissione Interna della Galileo quando ci furono quegli scontri di cui parlavo prima; fu poi segretario della Camera del Lavoro di Firenze, quindi ci si vedeva spesso quando noi andavamo a rompere i coglioni alle fabbriche con i volantini, abbiamo avuto discussioni varie. Successivamente non l'ho più visto per tanto tempo, poi dodici anni fa mi è capitato di svolgere un incarico che mi ha dato la Regione Toscana come architetto per una questione urbanistica della provincia di Massa Carrara; a un certo punto ho incontrato il presidente della Regione Piero Bartolini, grandi baci e abbracci, dopo vent'anni o più che non ci si vedeva, di fronte allo stupore degli attuali dirigenti che non sapevano assolutamente che legame possibile ci fosse tra uno come ma e Bartolini, è una delle cose buffe che succedono.
Almeno in altre due o tre occasioni c'è stata l'opportunità di rivedere queste vicende, di cui io credo giustamente nessuno si sia provato a scrivere la storia; per fortuna nessuno che viene da questo filone Quaderni Rossi-Classe Operaia-Potere Operaio ha fatto lo storiografo del proprio movimento, come invece amano fare quelli di Lotta Continua a cui non pare vero di riscrivere la propria storia e di ricamarci sopra. Però, ogni tanto capita di parlarne, un'altra volta mi è stata chiesta un'intervista sul '68, e io del '68 non so mai bene cosa dire. Un'altra volta ancora, a capodanno del '98, eravamo a Cosenza e la radio dove lavora anche Piperno ci invitò insieme a Franco a fare un dibattito, il 31 dicembre o il primo gennaio, sul futuro anniversario celebrativo dell'evento. Allora, eravamo lì a chiacchierare su questo '68 del quale io al solito non mi ricordo mai niente; alla fine Franco mi ha un po' bloccato con un'argomentazione, devo dire giustificatissima, dicendo: "E' meglio avere torto in tanti che ragione in pochi". Può darsi, ho forse una visione elitaria di questo periodo, il '67-'68; certo c'era questo gran fermento di gente che veniva a chiedere e a informarsi. A questo punto va premessa una cosa. Quello con cui lavoravo di più negli anni '63-'64 era Giovanni Francovich, che morì nel gennaio del '66 in un incidente d'auto a ripensarci adesso assurdo, con una Cinquecento in salita sbandarono sul ghiaccio e andarono fuori strada, Giovanni morì perché dormiva, cose che oggi forse non succederebbero, adesso almeno si schiantano a 180 all'ora e non a 60.
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