In quegli anni lì io tra l'altro ho consumato la mia militanza ufficiale, nel senso che mi sarò iscritto al Partito Socialista forse per un altro paio di anni, mi dettero anche degli incarichi, ero nel Comitato Centrale della Federazione Giovanile ma non ci sono mai andato; dopo di allora non mi sono mai più iscritto a nessun partito, nel PSIUP non ci sono entrato, era proprio già chiuso quel tipo di esperienza. Viceversa a Firenze avevamo creato un gruppo dove tra gli altri c'era anche Paola, che adesso è mia moglie, l'avevamo chiamato Lega Studenti Architetti. Era un gruppo che faceva esami, perché eravamo ancora studenti, uno era laureato e avevamo anche avuto delle occasioni di lavoro; c'era un grande appartamento dove avevamo uno studio che servì poi da base logistica, per esempio, nel momento in cui ci fu la rottura con Panzieri, la redazione di Classe Operaia si riuniva molto spesso qui a Firenze in questo buffo studio di studenti di architettura, con dei tavoloni giganteschi che tutti si ricordano, infatti con Tronti quando se parla si rammentano quei tavoli. Fu un momento estremamente ricco il salto che ci fu dalla fase Quaderni Rossi, con queste tristissime riunioni all'Istituto Gobetti di Torino nel silenzio assoluto, a queste riunioni fiorentine subito dopo, nel '63-'64, sicuramente molto più divertenti, con questa gran produzione, perché insomma Classe Operaia il primo anno uscì tutti i mesi, scrivevamo certamente sempre anche io insieme ad altri fiorentini. Avevamo questo gruppo simpatico in cui c'erano Giovanni Francovich (che poi morì due anni dopo), l'Arrighetti, che era un operaio della Galileo; tutti si ricordano di lui perché era l'unico che sembrava un intellettuale, tutti gli altri sembravamo dei sottoproletari mentre invece questo operaio aveva una figura sempre elegante, in fabbrica lo chiamavano il conte Torsolini per dire com'era trattato. L'Arrighetti era il classico operaio intellettuale informatissimo, con una discendenza anarchica, poi entrato nel Partito Socialista però successivamente uscitone anche lui. Insomma, c'era questo gruppo molto vivace, era divertente, simpatico in questo periodo.
Sto raccontando queste cose in modo parecchio confuso perché non ne faccio una cronaca ufficiale, posso registrare delle impressioni, dei ricordi. Quello di Classe Operaia è stato certamente un periodo per me molto formativo. Io avevo 23-24 anni, avevo letto alcune cose; per esempio di Panzieri mi ricordo una cosa molto bella, io venivo da un liceo classico e da una facoltà di Architettura, che ne sapevo di economia politica, di Marx o altro? Lui mi disse di leggermi "Lavoro salariato e capitale", la Quarta Sezione del Primo Libro (va bé, quello era ovvio, era una specie di bibbia su cui si ragionava), e poco più; mi disse di non leggere il Secondo Libro de "Il capitale", quello che aveva tradotto lui, perché lo trovava assolutamente illeggibile. Per cui mi indirizzò su una lettura di alcune cose selezionate, quindi diciamo che ho avuto un approccio ai sacri testi non di tipo filosofico e filologico, ma al contrario, cioè si prendeva solo quello che ci serviva. Poi più o meno in quegli anni lì, nel '64, Enzo Grillo stava traducendo i "Grundrisse", quindi arrivava questa nuova massa di cose da discutere, tutto questo processo di formazione de "Il capitale" più che "Il capitale" stesso. Quindi, già allora direi che mi interessavano molto di più questi passaggi precedenti, questa costruzione del pensiero di Marx che non poi il risultato; mi sembrava faticosa, difficile questa lettura, so per esempio dei racconti che facevano a Torino di Romolo Gobbi che sfogliando "Il capitale" leggeva. Dovevano essere allucinanti ma pare che si svolgessero davvero queste sedute in cui Romolo girava le pagine de "Il capitale"; questo da noi non si faceva per niente, c'era piuttosto l'idea di ricostruire alcuni passaggi, magari trovando qualche cosa. Anche se oggi non se ne parla mai, se non esiste più ovviamente il fatto di cominciare un articolo o un saggio dalla citazione di Marx, però io non rinnego affatto questa specie di esercizio che si faceva allora e che non era così dogmatico, anzi per niente: era lo sforzo di rintracciare qualche cosa di non ancora inquadrato, cioè trovare in Marx delle cose un po' fuori dalle regole. Poi queste cose le ha fatte Tronti, le ha fatte Negri, ovviamente molto meglio, però era stimolante, non era un rapporto di sacri testi ma venivano fuori delle considerazioni interessanti. C'era sempre l'idea che si potesse collegare lo studio di Marx ai temi di cui poi mi sarei dovuto occupare professionalmente, come il territorio, la pianificazione: questo è stato sempre estremamente faticoso, poi l'unica forma di collegamento era il fatto che c'era una presenza operaia sul territorio. Alla fin fine il solo punto di contatto tra tutta l'analisi teorica e la pratica politica era che le fabbriche andavano localizzate, bisognava capire quale era la provenienza degli operai, la consistenza. Allora, un conto era Torino dove gli operai erano lì, bastava andare alla porta due, mentre qui non era facile.
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