Quando Romano negli anni '70 affrontava il discorso della classe operaia che la trovi anche nelle università e nelle scuole, questo anticipava il fatto che probabilmente c'è l'intelligenza messa insieme, la capacità di attivare certi processi forma poi un circuito produttivo che funziona nel suo complesso. Una cosa su cui penso che bisognerebbe riflettere (mi pare che ne accenniate anche voi nel documento) è l'uso della tecnologia, se tutto questo poi è, come si diceva una volta, il piano e il gioco del capitale, oppure se ci sono margini di autonomia, di comportamenti non riducibili a ciò. Io penso che se in questa ricomposizione di classe, che comunque c'è in qualche modo e forse si può riconoscere, rientra un certo percorso formativo funzionale a quello che potrebbe essere oggi un sistema capitalistico avanzato, è un percorso formativo in cui le capacità critiche dovrebbero essere fortemente limitate. Quei ragazzi che stanno al computer dalla mattina alla sera (di questi con cui lavoro ne vedo tanti), che sono fissati sull'ultima versione del programma tal dei tali e tutto il loro tempo lo passano davanti allo schermo, fanno il gioco del capitale o non lo fanno? Com'è che si rapportano a questo tipo di lavoro? Com'è che si rapportano anche con altri che fanno lo stesso tipo di lavoro? Mah, ci sono le due facce: alla fine in fondo è come l'operaio della catena di montaggio, sì, fa il lavoro del capitale, però nello stesso tempo si tira fuori. Io non conosco per esempio quelli che sono i grossi apparati produttivi anche nel settore dell'informatica, come funzionano effettivamente questi circuiti del nuovo lavoro, del telelavoro, del lavoro di relazioni, di produzione, insomma di cose immateriali; vedo un po' marginalmente come operano questi che usano software. Insomma, c'è una grossa parte creativa anche nel lavoro che fanno e che non è necessariamente solo l'adesione passiva alle regole di un'eventuale "fabbrica". Sono cose su cui non è che abbia mai riflettuto molto, aspetto sempre che qualcuno me le spieghi.
In quel saggio di cui si parlava prima tu facevi una distinzione tra una composizione di classe data e una ricomposizione soggettiva, intesa come articolazione delle lotte e delle avanguardie che si danno in esse. Nell'ambivalenza di cui tu parlavi a proposito delle nuove forme di produzione e dei processi formativi, come secondo te è possibile pensare a percorsi di ricerca critica che vadano nella direzione di sviluppo e valorizzazione della faccia potenzialmente antagonista?
Se ben ricordo in quel saggio si trattava soprattutto il tema dell'emigrazione in Europa: era ovviamente un'esigenza del capitale il far circolare manodopera per assumere nelle grandi fabbriche, per localizzarla dove serviva, però era anche un veicolo di antagonismo. Adesso c'è ovviamente anche tutta la circolazione di manodopera internazionale, ma nei percorsi formativi, di lavoro, individuali, semicollettivi, in rete o come siano, c'è la stessa cosa: c'è l'esigenza del capitale, ci sono tante opportunità di antagonismo. Antagonismo vuole dire anche utilizzare a proprio vantaggio le opportunità che sono offerte dalla situazione caso per caso, probabilmente con differenze locali molto forti. Credo che l'antagonismo sia sempre da vedere un po' in questo senso qua; la società è costretta ad offrire delle opportunità, poi queste possono essere usate in maniera diversa.
Quali sono i tuoi cosiddetti numi tutelari, ossia persone, autori o figure di riferimento nel corso del tuo percorso politico e culturale?
Alcuni li ho già nominati, a vent'anni incontrare Panzieri è stato importante. Forse l'autore a cui sono più affezionato è Brecht, del quale continuo a pensare che dia proprio questo giusto rapporto, cioè il distacco è un tema brechtiano. L'estraniamento rimane una delle cose a cui sono più affezionato in tutti i sensi, del rapporto con quello che si fa, anche con il lavoro, intanto mantenere un distacco è una cosa che ho imparato da Brecht. Ogni tanto mi capita di ripescare anche il vecchio Marx: di solito quando devo andare a cercare qualcosa di suo passo attraverso Rosdolsky. Sulla mia libreria ci sono i Materiali Marxisti, poi c'è una scatoletta che contiene una serie di schede che facevo leggendo i "Grundrisse" ecc., poi ci sono i "Grundrisse", poi c'è Rosdolsky e poi c'è "Il capitale" stesso. Allora, Rosdolsky in genere è quello che tiro fuori per sapere dov'è che potrei trovare una tal cosa. Ad esempio, mi ero messo nell'idea di ragionare su tutta la riflessione che fa Marx sulla natura, perché mi sembrava che dentro l'idea di ricostruire un po' le basi di una critica dell'ideologia ambientalista forse servisse anche andare a vedere Marx: per ora ho trovato poco, però Rosdolsky è veramente la guida alla lettura de "Il capitale" e dei "Grundrisse" soprattutto. Per cui a quello sono affezionatissimo.
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