Per cui ora io, in maniera un po' isolata, insieme a dei francesi che ho conosciuto o dentro l'insegnamento che faccio all'università, sto cercando di metterci dentro qualche ideuzza che serva perlomeno a vaccinare gli studenti contro quelli che considero i peggiori miti che si possano avere, cioè quelli della Natura con la N maiuscola, degli equilibri, delle finalità della natura che ha un fine. Queste sono delle stronzate ideologiche contro le quali ci sono gli elementi per una critica: se uno va a leggersi Darwin se non altro ne esce con la convinzione che non è possibile pensare all'esistenza di Dio, al progetto della natura buona contro l'uomo cattivo. Queste cose qua hanno poi un'incidenza diretta su un'analisi che si può fare anche della genealogia del territorio, non solo delle specie o degli individui biologici; sono dibattiti di grandissimo interesse, che però vengono un po' limitati a degli specialismi o vengono considerati un po' fuori portata. Invece, sarebbe bello poter riprendere anche un'elaborazione teorica in cui si possa far rientrare questo tipo di critica dell'ideologia, che poi mi pare che fosse uno dei temi.
Stavo prima parlando di cosa si è prodotto, in fondo della critica dell'ideologia se ne parlava già in Classe Operaia, Asor Rosa ha fatto "Scrittori e popolo" (poi l'ha anche rinnegato tra l'altro, non è che abbia tanto proseguito su quel filone), e dopo in definitiva questo è un tema che è stato quasi del tutto abbandonato, perché faceva molto più comodo adottare delle ideologie, magari apparentemente alternative. Invece, non c'è un'ideologia alternativa, l'ideologia è tale e basta, l'unica alternativa è il rovesciamento della critica dell'ideologia. Questo potrebbe accomunare gente che si occupa di campi anche molto diversi. In genere io penso che quelli che hanno un po' lo stesso punto di vista stiano abbastanza zitti in questo momento, quelli che parlano hanno un punto di vista ideologico. E' difficile fare coincidere il desiderio di esporsi e quindi di esporre le proprie idee con un'esigenza critica; quando uno comincia a scrivere un libro inevitabilmente enuncia un manifesto, scopre che c'è un discorso vincente, uno non scrive un libro per esprimere dei dubbi, purtroppo è così. Forse il mondo si divide tra quelli che sono sicuri e quelli che sono dubbiosi. In queste vicende degli anni '60 e '70 siamo passati da un periodo di dubbi usati criticamente, in modo creativo, a un periodo di certezze a ripensarci anche molto ridicole, che però servivano a mobilitare, perché non si mobilita nessuno sul dubbio. Poi magari c'è stato un personaggio come Gaspare De Caro che ha finito per tacere perché era pieno di dubbi, era critico. Certo noi non potevamo accettare la demolizione anche di quel poco in cui si è cominciato forse a credere, purtroppo erano anche forme di credenza e quindi di ideologia. Non so se si possa sciogliere questo nodo, se un discorso è automaticamente ideologico allora è meglio stare zitti, se si riuscissero a esprimere concretamente anche ad alta voce i dubbi forse sarebbe meglio. So che Toni ha ricominciato a scrivere e a parlare, ho una gran paura che siano di nuovo delle sparate: lui poi ha una capacità di autoconvincersi straordinaria e di convincere anche gli altri.
Dall'altra parte Toni ha anche una grande capacità di distruzione...
Toni distrugge a carro armato, a schiacciasassi, Sergio invece fa una distruzione che leva quella zeppina che teneva tutto in piedi e crolla il castello, mentre Toni ci passa sopra a bulldozer!
Il cosiddetto postfordismo è uno dei temi su cui la maggior parte ha espresso molte certezze e pochi dubbi: nell'analisi di quello che è ritenuto un passaggio epocale si vede una polverizzazione o addirittura una scomparsa della classe, adesso alcuni (tra cui Toni) parlano ad esempio di moltitudine. Nel saggio che hai scritto ne "L'operaio multinazionale in Europa" tra l'altro parlavi di un funzionamento politico della legge del valore e analizzavi il nodo della composizione e della ricomposizione soggettiva della classe: come analizzi adesso questi passaggi e queste trasformazioni?
Sull'analisi della situazione attuale io leggo poco, magari mi posso basare solo su quello che ho letto di Sergio, o quel libro di Aris Accornero che dice esattamente le stesse cose. La fabbrica diffusa esisteva anche prima, avevo citato l'esempio di Prato, in fondo quella che allora sembrava un'eccezione, una cosa un po' anomala rispetto alla grande fabbrica, oggi è invece una situazione molto più consueta. Quindi, questa forza-lavoro esiste sommersa e diluita, non ha più le forme fisiche dell'assembramento, però è soprattutto una forza-lavoro di qualità diversa.
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