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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001 |
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Dopo di loro, nell'Ottocento ci hanno provato i comunardi, nel Novecento quei socialdemocratici di una specie particolare che erano i socialisti russi, i quali si sono davvero illusi di essere riusciti a battere definitivamente il capitale là dove gli altri erano stati sconfitti. Illusione dura a morire. E in effetti dietro la prova di forza del '17 è sbagliato il ragionamento di chi afferma che non possiamo aspettare l'evoluzione del capitalismo per diventare comunisti? Non la pongo come domanda retorica, anche se mi rendo conto che nel frattempo le leggi dell'accumulazione mandano nei loro laminatoi intere generazioni di giovani. Chi poi trascura o comunque minimizza i laminatoi porta responsabilità politiche pesanti, anche in questo paese. In breve, è assai probabile che se i comunisti attenderanno la maturità del capitalismo e la pienezza dei tempi, si ritroveranno in scenari di distruzione e di autodistruzione. Finora il capitale è riuscito a mantenere la divaricazione malefica: da un lato, le istanze di emancipazione del lavoro, e dall'altro delle istanze di emancipazione dal lavoro che per intenderci chiamiamo ecologiche. Ma fino a quando? Se la forbice si riduce, se il lavoro vivo opera convergenze parziali ma significative, non canteremo la vittoria del comunismo - nessuna illusione - ma potremo tirare un respiro, puntare sulla sopravvivenza, ricominciare con premesse che liquidino i terribili danni dei capitalismi delle nazioni e dei blocchi di nazioni. A quale prezzo? Forse un rallentamento dell'accumulazione, forse altre alternative meno deprimenti. Le tre esperienze menzionate sono limitate e inoltre ammetto una grave omissione perché non conosco abbastanza il socialismo e il comunismo sudafricano e asiatico con il loro immenso bagaglio di riuscite - ma anche di sconfitte. Quanto all'Asia, non mi riferisco soltanto alla Cina e al Vietnam, ma anche all'India e agli altri paesi nei quali il movimento operaio, i movimenti femministi, i movimenti antimilitaristi hanno superato prove severe.
Infine, tornando all'Italia della fine degli anni Sessanta, quando si giunge a un ciclo di lotte di quell'intensità, senza un lungo periodo di preparazione (e in Italia tale ciclo non era stato preceduto da un lungo periodo di vera preparazione), si sconta il fatto che il movimento può dare tutto quello che è stato messo in campo nel quinquennio precedente, purtroppo senza disporre di un retroterra di 20-30 anni.
Quali sono stati, secondo te, i limiti e le ricchezze dell'esperienza di Potere Operaio?
Intanto parliamo dei punti di forza, che credo siano importanti. Uno dei punti di forza è stata la combinazione di individualità e anche microgruppi, se così possiamo chiamarli, apparentemente disomogenei tra di loro, ma che poi in generale si sono combinati bene, salvo qualche stridore qua e là. Si sono combinati bene perché c'era, da un lato, una componente che aveva compiuto percorsi apparentemente ai margini della politica, in realtà molto intensi: ai margini della politica ufficiale. Anch'io conto per uno tra i tanti in questa componente. D'altro canto c'era una parte, meno numerosa ma significativa, che aveva comunque attinto anche all'esperienza dei partiti politici o addirittura del sindacato, ma che vi era entrata con un bagaglio critico: il bagaglio critico che per esempio Alberto Magnaghi si portava appresso nel momento di entrare nel PCI era tale da indurlo a guardare a quel partito con disincanto. Poi c'era comunque una parte femminile che ha sicuramente innovato il fare politica, in parte dentro Potere Operaio, in parte poi fuori da esso, in quello che io chiamo il protofemminismo italiano, ma che io avevo trovato già un po' in nuce, prima a Detroit, poi quando ero venuto nel Veneto per le prime volte, all'inizio del '68. Si trattava di una presenza e di una voce femminile all'interno di quella che era una tradizione socialista veneta, una tradizione rivoluzionaria, assai più forte di quelle che io riscontravo per esempio in Emilia Romagna o anche in Piemonte o in Lombardia. Questo tipo di atteggiamenti che era in qualche modo legato proprio all'esperienza socialista e forse anche comunista veneta (ma più socialista che comunista, perché i compagni e le compagne di Potere Operaio provenivano in buon numero dalla tradizione socialista), ha poi permesso di incubare questo protofemminismo all'interno di Potere Operaio. Ho detto permesso. Ma altrove spazi non ce n'erano o erano minimi. E in qualche modo lo ha preservato anche da una egemonia totalizzante che altri gruppi invece hanno espresso nei confronti proprio della presenza femminile prima che femminista al loro interno. E' una peculiarità che va ricordata.
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