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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001 |
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A Mestre il 1° agosto del 1968 il processo di trasformazione è ai suoi inizi. Quando si giunge a corso Traiano, nel luglio del 1969, il processo è andato molto avanti. Si tratta allora di battere un nascente ceto politico operaio. L'editoriale di Le Monde del giorno successivo prende atto del sorgere di una variabile politica nuova - e non soltanto in Italia.
Il passaggio da La Classe al giornale Potere Operaio, che nasce ai primi di settembre del '69, registra la spaccatura già avvenuta tra i due gruppi: Lotta Continua e Potere Operaio. Forse la spaccatura veniva da lontano, dalle sedimentazioni della società italiana nella lunga durata. Certamente essa ha pesato negli anni seguenti, soprattutto direi nel '71. Potere Operaio come organo non tanto di un gruppo ma di un movimento ha svolto la parte più ingrata ma indispensabile mettendo al centro dell'arena politica l'inferno della produzione soprattutto dalla metà del '68 al '71.
Occorre prendere come discrimine la strage organizzata dall'estrema destra e dai servizi segreti a piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969). Fino a quel momento si poteva credere all'ingrosso che in Italia vigesse il rispetto delle regole del gioco da parte dello stato; dopo il 12 dicembre diventa tremendamente difficile non soltanto crederci, mantenere i nervi saldi. In sostanza, la sensazione a sinistra è che - a essere benevoli - le leve decisive dello stato latitano invece di offrire una qualche garanzia di dibattito duro sì ma aperto. Cominciano ad avere almeno qualche freccia al loro arco quanti affermano che padroni di un tavolo di gioco sono gli stragisti e i loro complici, mentre tutti gli altri - compresi operai e studenti - si sono attardati al tavolo del dibattito. Le difficoltà del 1970 sono anche in parte queste: a lungo c'è ancora incredulità, anche all'interno di Potere Operaio, sul coinvolgimento dei vertici dello stato in uno stragismo come quello di piazza Fontana. Però, a mano a mano che passano i mesi il coinvolgimento diventa sempre più chiaro, finché poi arriva il libro di Marco Ligini, "La strage di Stato", che, salvo errore, esce all'inizio dell'estate del '70, libro che apre gli occhi anche agli increduli. Ed è allora che Potere Operaio milanese produce uno sforzo aperto e vigile perché i militanti sbandati e indignati non perdano la testa e non si abbandonino a qualche gesto di vendetta. A questo proposito la malafede di alcuni organi di repressione si è rivelata appieno. Essi sapevano lo sforzo pubblico di Potere Operaio per impedire dei colpi di testa. Forse a Potere Operaio non hanno mai perdonato la sua presa di posizione non soltanto contro la strage di stato ma anche contro il muro di gomma che ne è seguìto.
Cicli di lotta e loro specificità, risposta dello Stato, risposta del capitale: al di là dello specifico di questo momento, proviamo a fare una riflessione teorica che serva al punto di vista di classe su come si sviluppano i cicli di lotta, e sull'incidenza che hanno nella rottura di quelli che sono gli equilibri e il modo di essere dello Stato, e dall'altra parte di quella che è la dimensione capitalistica, intesa come processo di accumulazione, anche come capacità di riutilizzare le lotte e quanto portano sul medio periodo, per ri-impostare proprio un discorso di capacità di uscire dalla crisi che le lotte danno e di muoversi sul terreno invece del ri-inglobare le spinte alla trasformazione e mutarle in spinte all'innovazione. Questo è un nodo che nell'attualità non abbiamo davanti perché non ci sono le lotte, però è in realtà uno degli elementi di riflessione su quella che è stata l'esperienza degli anni '60 e '70: tu come lo analizzi?
Scusate il riferimento, ma c'è una lettera di Marx del 1858 che mi è tornata in mente negli ultimi tempi. Marx scrive: " Per noi la questione difficile è questa: la rivoluzione sul continente [europeo] è imminente e sarà di carattere senz'altro socialista; non sarà necessariamente schiacciata in questo angolino della terra poiché su di un terreno ben più vasto lo sviluppo della società borghese è ancora in ascesa?". Una delle rare esperienze che si sono piegate al rimando sine die del processo rivoluzionario è l'esperienza degli schiavi vittoriosi ad Haiti tra la fine del Settecento e i primi anni dell'Ottocento. Hanno pagato carissima la vittoria sugli schiavisti e sui capitalisti, da Napoleone a Thomas Jefferson ai fabbricanti inglesi. La vendetta era nell'ordine dell'oggettività: gli haitiani sono rimasti tagliati fuori dal mondo per circa duecento anni.
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