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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001


Ho passato larga parte del mese di aprile e quasi tutto il mese di maggio a Torino, ed il primo volantino intitolato La Lotta Continua l'abbiamo steso Mario Dalmaviva ed io a casa sua. Dopo un panino "al cardiopalmo", come diceva Dalmaviva, siamo andati immediatamente a ciclostilarlo e a distribuirlo. Poi, con un ordine che equivaleva ad un ordine di partito (le vecchie abitudini sono dure a morire), sono stato richiamato bruscamente a Milano dai massimi consessi dirigenti dell'operaismo italiano (se già c'erano), perché si diceva: "A Torino adesso di gente che vuole andarci ce n'è finché vogliamo, ed invece è a Milano che bisogna riuscire a mettere in piedi un gruppo di militanti". A Milano io sono quindi tornato nel giugno del '69, un po' a malincuore. Disponiamo di una sede, in via Gustavo Modena. Da via Modena poi saremmo stati cacciati dopo qualche mese, credo anche grazie al vivo interessamento delle polizie. In sostanza, comincia a formarsi un gruppo di Potere Operaio e in via Gustavo Modena arriva sempre più gente. Le sedi dei partiti si svuotano, mentre tutte le volte che si apre una sede di gruppi extraparlamentari (non solo di Potere Operaio), purché questi godano di un po' credibilità, le sale si riempiono. Le riunioni sono sovraffollate. Sale una richiesta di coordinamento politico che risulta enorme per le forze dei singoli gruppi e che in generale i partiti e i sindacati temono come il fumo negli occhi. Altrettanto osservo anche nel Veneto e in Emilia. Questa richiesta politica radicale è molto diffusa e non era limitata alle grandi città, ma cominciava a estendersi anche ai centri medi e piccoli. A Milano si mette in piedi un coordinamento di Potere Operaio. Dall'inizio della primavera del '69 circola un settimanale romano che è La Classe: Operai e studenti uniti nella lotta, diretto da Oreste Scalzone. Ci scrivo una parte del numero che nel maggio annuncia la prima lotta di quell'anno alla Fiat. Arrivati per accordo dei due maggiori gruppi - Potere Operaio e Lotta Continua - al convegno operaio di luglio a Torino, sùbito a ridosso degli scontri di corso Traiano, la distanza tra i due gruppi risulta incolmabile.
Essendo io impegnato a Milano in quel periodo, non tocca a me ricostruire le fasi preparatorie a corso Traiano. Auspico che qualcuno offra almeno una panoramica sia delle forze presenti sia di coloro che si tengono a distanza di sicurezza durante gli scontri. Per carità non è la prima volta che avviene il di stanziamento nella storia del movimento operaio in Italia. Basta leggere Stefano Merli a proposito di certi pavidi socialisti nel 1898, quando Bava Beccarsi prendeva a cannonate gli operai milanesi. A corso Traiano il fatto nuovo della politica italiana di quel momento è che carabinieri e polizia credono di trovare 500 studenti e, mentre una parte di quel movimento è a discutere in assemblea all'università, dietro ai 500 "studenti " ci sono migliaia di operai che dei ritmi massacranti di lavoro, del salario e delle prospettive di una città carica di odio non ne possono più. E il giorno successivo al pomeriggio e alla notte di scontri, guarda caso, il Partito socialista si spacca un'altra volta.


Qual è stata, secondo te, la differenza tra corso Traiano e il 1° agosto del '68 a Mestre?

Premetto che io non ero presente il 1° agosto del '68 a Mestre, ma credo che la differenza sia questa: il 1° agosto del '68 a Mestre c'è ancora una certa ambivalenza sia all'interno del mondo imprenditoriale italiano sia anche negli organi di polizia. Mi è sempre rimasto impresso nella memoria l'episodio, raccontatomi dopo, di un operaio di Marghera che, durante il blocco della stazione di Mestre, mostra una foto e dice ai poliziotti: "Questi sono i miei figli, e io dovrei tirarli su con 70.000 lire al mese". Credo che abbia giocato la diffusa ripugnanza della polizia di marciare contro i manifestanti con i reparti speciali. L'essenziale è che nel luglio-agosto del '68 forse l'imprenditorialità privata italiana avvertiva la sensazione di una possibile mediazione, pur di fiaccare un'organizzazione operaia alternativa. Fino a quel momento l'Italia doveva essere un paese come la Corea del Sud nello scacchiere internazionale della Guerra fredda: gente che cominciava a stare un po' meglio ma che doveva rimanere politicamente zitta. Per gli imprenditori e per i governi il risveglio risultava brusco: non solo gli studenti, ma neppure gli operai stanno più zitti.

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