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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001


Nei primi mesi del '67, ormai come Potere Operaio veneto-emiliano ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo provato intanto a consolidare il funzionamento dei quadri già operanti a Modena, a Bologna e soprattutto a Padova e a Porto Marghera: poche decine di persone, ma ormai assai affiatate, per merito soprattutto dei compagni padovani. E poi, soprattutto, abbiamo cominciato a cercare adesioni all'intervento di fabbrica anche a Milano. Si sentiva che nell'università e anche fuori qualcosa di nuovo doveva accadere.
Posso forse dire che il mio apprendistato politico si compie alla vigilia degli anni Settanta. La mia vita è la vita del movimento, una spola tra Milano e Padova, salvo qualche viaggio in Inghilterra. A Milano comincia a formarsi un gruppo di gente che in qualche modo si richiama a Potere Operaio veneto-emiliano: Sergio Bologna è senz'altro la figura più autorevole in questo ambito. Quello che si apre allora è un periodo in cui tutto lo sforzo dei pochi a Milano sta nel riuscire a saldare il movimento studentesco e quello che succede nelle fabbriche, un lavoro difficile agli inizi perché l'intervento di fabbrica cozza contro l'opposizione di gran parte del movimento studentesco. C'è poi una parte del movimento studentesco che è legata in qualche modo ad un intervento di fabbrica, ma in funzione subalterna rispetto al sindacato. In sostanza, la presa del sindacato su questo rapporto università-fabbriche è molto forte.
Quindi si tratta di rompere. La riunione dove si agita per la prima volta la parola d'ordine della creazione dei comitati di base avviene in una trattoria di Sesto San Giovanni, a cui partecipo con un paio di simpatizzanti di Potere Operaio veneto-emiliano. Lì s'intravede la fisionomia del movimento di fabbrica degli anni seguenti: ci sono un po' di operai e di operaie (ma dopo un paio di ore le operaie tornano ai lavori a casa), siamo tre operaisti, arriva Romani, marxista leninista di Terni , sono presenti pochi studenti senza appartenenze. Poiché allora nel cielo della politica si parlava ancora di possibilità di unificare PCI e PSI, Romani, che è un notevole oratore e ha il radar degli umori prevalenti nella riunione, a un certo punto taglia corto: "Ma allora facciamola questa unità, ma facciamola su di una piattaforma politica di unità operaia. Le altre unità le lasciamo ai partiti perché sono delle panzane" . Ecco, la reazione immediata è assai positiva e ottiene una certa risonanza ben oltre Sesto San Giovanni. Quello è, a quanto ricordo, il primo tentativo di mettere in piedi un comitato di base in Italia. Naturalmente siamo stati immediatamente cacciati dal proprietario della trattoria, il quale aveva ovviamente paura di noie poliziesche. C'erano anche queste scene comiche. Talvolta sembrava di vivere in una fotografia in sovrimpressione, su sfondi assurdi per noi militanti, quanto erano assurdi i primi piani nostri per gli estranei, poiché, tra l'altro, nel milanese come altrove la mancanza di spazi era la norma, almeno fino all'occupazione dell'Albergo Commercio di Piazza Fontana nell'estate del 1968.
Nell'estate del '68 si profila una tensione forte a Marghera. Dopo lo sciopero e la marcia del 1° agosto a Marghera, cerchiamo di diffondere almeno in Italia il significato di quello che era successo, e quindi da Crotone fino alla Pirelli e al Piemonte, Potere Operaio veneto-emiliano distribuisce in migliaia di copie l'opuscolo "Porto Marghera alle avanguardie per l'organizzazione". In sostanza, l'incantesimo comincia a rompersi nella seconda metà del '68, anche sull'onda degli avvenimenti francesi, e c'è un rispuntare di iniziative talvolta confuse che prendono il nome di Potere Operaio, e non più soltanto di Potere Operaio veneto-emiliano, anche in sedi apparentemente lontane e tradizionalmente scollegate. Da notare che nello sciopero alla Magneti Marelli, nel maggio del '68, si era formato un comitato, poi quasi completamente assorbito dal sindacato. Tuttavia qualcuno dei leader dello sciopero era poi venuto al Convegno operai-studenti di Marghera che è dell'8-9 giugno dello stesso anno. Qui c'erano da un lato alcuni militanti che stavano uscendo dal PCI: in particolare, Rossana Rossanda; poi Massimo Cacciari, che ormai era sempre più orientato in qualche modo a rientrare, c'erano Mario Tronti e Alberto Asor Rosa; forse alla Fondazione Feltrinelli sono rimaste le trascrizioni di quegli interventi, di cui si era occupato il compianto Gian Piero Brega, allora direttore editoriale della casa editrice, il quale ci teneva addirittura a ricavarne una pubblicazione. Poi non se ne fece nulla.

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