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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001 |
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Nel 1963 il mio amico Carlo Valpreda mi aveva segnalato da Torino l'uscita del primo numero dei Quaderni Rossi, poi nel 1964 la scissione di coloro che si erano staccati per pubblicare un mensile, Classe Operaia, e per sviluppare un intervento politico nelle fabbriche. Dopo qualche tempo sono andato a cercarli a Milano. Ho portato Sergio Bologna, che era un esponente di Classe Operaia, alla Casa dello studente. Mi pare che fosse nel 1965 o ai primi del 1966. Poi Sergio mi ha introdotto qualche altro compagno nel milanese, tra cui Mauro Gobbini. Mentre io poi stavo per laurearmi, adesso mantenendomi con traduzioni dall'inglese, si era prospettata la possibilità di andare negli Stati Uniti con una borsa di studio. Ho accettato e sono arrivato a New York nel settembre del 1966. I primi due mesi sono stati assolutamente bui: ricordo che nell'autunno del 1966, in un corteo contro la guerra del Vietnam, qualche giovane che aveva cercato di issare la bandiera del Fronte di liberazione nazionale dei Vietcong era stato riempito di botte - non dai poliziotti, ma dai contromanifestanti patriottici. Nel novembre o dicembre del 1966 venni a sapere casualmente che il libertario newyorkese Murrray Bookchin teneva seminari di ecologia nel suo appartamento nella Lower East Side di Manhattan. Li frequentai e il suo ecologismo mi aprì nuovi orizzonti. Bookchin era passato attraverso l'esperienza del Sindacato dell'auto (UAW) alla fine degli anni Quaranta, ma aveva capito per tempo che i margini concessi alla politica sindacale della segreteria di Walter Reuther erano sempre più ristretti. Bookchin se n'era andato sbattendo la porta e aveva ricominciato a studiare l'industrialismo e i suoi danni, organizzando con altri libertari, fin dagli anni Cinquanta, le prime manifestazioni newyorkesi contro il nucleare. Con Bookchin pressoché impossibile lavorare in quegli anni. La sua traversata della cultura occidentale dal punto di vista ecologista voleva essere assolutamente solitaria. Va detto che in séguito Bookchin ha dato prova di maggiore apertura.
Uno dei pochissimi gruppi marxisti di cui Bookchin avesse rispetto era quello dei cosiddetti operaisti di Detroit. Chiamiamoli così, tanto è capitato a noi in Italia come a loro negli Stati Uniti di non poter più scrollarsi di dosso questo appellativo. Compagne e compagni di Detroit , alcuni dei quali avevano visitato l'Europa nel 1964, mi invitarono a Detroit. Verso la fine di dicembre ero con Seymour Faber, Martin Glaberman, Jessie Glaberman, William Gorman, Dianne Luthmer, George Rawick, e altri, tutti del gruppo di Facing Reality che aveva già una lunga storia alle spalle e che faceva capo a C.L.R. James, lo storico e uomo politico antillano. Li ho conosciuti in un periodo di intensa elaborazione: George Rawick lavorava al suo libro su "Lo schiavo americano", mentre Marty Glaberman aveva appena pubblicato un opuscolo sulla condizione operaia che avrebbe lasciato una forte impronta su parecchi giovani operai dell'auto, anche e soprattutto africano-americani, grazie soprattutto alla sua analisi spassionata e tagliente della struttura sindacale. Intanto Jessie Glaberman mi istruiva sul femminismo marxista e mi metteva alla prova con grandi pile di piatti da lavare dopo le riunioni del gruppo.
Nei mesi successivi George Rawick ha continuato a seguirmi, a procurarmi materiale, e nell'aprile del 1967 è venuto a New York ed è stato ospite da me per una quindicina di giorni, una specie di seminario continuo di rara intensità sulla storia e la politica statunitense. In sostanza, George mi toglieva dalla testa molte di quelle idee ricevute a cui la Guerra fredda aveva abituato me come molti giovani europei; egli veniva mostrandomi con infinita pazienza che gli Stati Uniti erano allora un paese molto più aperto al cambiamento di quello che si pensasse in Europa in quegli anni. La prova del nove di tale fluidità della società statunitense degli anni Sessanta venne poi nel giugno del 1967: la dimostrazione a New York contro la guerra del Vietnam di mezzo milione di persone, quando Martin Luther King trovò il coraggio di condannare la guerra del Vietnam a nome del Movimento per i diritti civili e quando comparvero a centinaia le bandiere dei Vietcong. Nell'arco di sette mesi la metamorfosi era evidente, come aveva sostenuto George Rawick quando avvertiva : "Ricordatevi che negli Stati Uniti John Brown viene giustiziato e con lui il movimento antischiavista nel 1857; quattro anni dopo l'intero Nord marcia contro gli schiavisti cantando l'inno dell'impiccato". Nel 1967-68 il mutamento del clima politico è stato talmente repentino, talmente radicale tra i giovani, talmente diffuso, almeno nelle grandi città, che a quel punto mi sono detto: chiudo con quel poco di letterario che ho fatto nella mia vita e, qualunque cosa mi succeda, passo ad altro. In questo senso mi considero un figlio del movimento statunitense.
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