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INTERVISTA A FERRUCCIO GAMBINO - 10 GIUGNO 2001


Dalla prima alla terza liceo mi capitò Eraldo Arnaud come professore di filosofia e storia. Arnaud era stato partigiano di Giustizia e Libertà nel torinese e negli anni del mio liceo traduceva Lukàcs e Cassirer, autori che noi gli chiedevamo insistentemente di spiegarci. Soprattutto Lukàcs. Era sempre disponibile e ci amava. Un altro insegnante che esercitava un notevole ascendente su alcuni di noi era il latinista Armando Fellin, socialista e già partigiano nel cuneese. In una città come Asti, ancora dominata dai camaleonti postfascisti e da una curia reazionaria, Fellin non esitava a evocare categorie allora eterodosse quali imperialismo, schiavitù greco-romana e moderna ed egemonia, magari appoggiandosi come poteva sull'autorità degli antichisti contemporanei più innovativi.
Dopo la fine del liceo non sapevo da che parte voltarmi perché in famiglia non c'erano le risorse per sostenermi all'università. Prima di partire per Milano ho dato una mano nella fondazione della cooperativa del paese, tuttora attiva: una cantina sociale che ci difendesse dagli effetti peggiori della pesante crisi vinicola di quegli anni, com'è poi riuscita a fare. Nell'agosto del 1960, subito dopo la maturità e soprattutto subito dopo la caduta del governo Tambroni, mi sono trasferito a Milano, dove ho trovato un impiego in un'azienda di oli minerali. Il commiato dal paese è stato difficile perché ero legato agli amici che mi avevano incoraggiato a proseguire negli studi. A Milano mi toccò alloggiare alla Casa dello studente di viale Romagna. La Casa dello studente è stata uno dei luoghi cruciali della radicalizzazione a Milano all'inizio degli anni Sessanta, anche se pochi oggi lo rammentano. La Casa dello studente raccoglieva studenti poveri da tutta Italia: rette basse, coabitazione di due inquilini nell'Existenzminimum di una stanza progettata dall'architettura razionalista del fascismo per lo studente singolo, regime spartano; per quattro quinti studenti del Politecnico, per un quinto della Statale. Chi disponeva di un reddito discreto non finiva alla Casa dello studente o comunque non ci rimaneva a lungo. Poi, tra i circa 600 inquilini ce n'erano una ventina che dovevano studiare sostentandosi senza l'aiuto della famiglia. Io facevo parte del novero. Licenziandomi dall'azienda di oli minerali ai primi del 1961, l'obiettivo era quello di imparare in fretta l'inglese, di campare di traduzioni almeno per qualche tempo e di andare all'estero appena possibile. Mi ero iscritto a Lingue straniere alla Statale, anche se avrei preferito iscrivermi a filosofia. D'estate, appena possibile andavo in Inghilterra: di giorno cameriere a Londra, dalle parti di Clerkenwell Road, dove prevaleva ancora una condizione operaia semi-ottocentesca, di sera in qualche scuola a imparare l'inglese più in fretta possibile. Nell'autunno del 1963 visitai il Nord della Francia, dall'ottobre del 1964 al marzo del 1965 sono vissuto a Edimburgo. Nel ritorno, ho girato per la Mitteleuropea.
Negli anni del ginnasio e del liceo avevo cominciato a leggere qualche testo di marxismo ed ero giunto a Marx grazie all'aiuto di Carlo Valpreda. Finalmente alla Casa dello studente trovavo compagni con cui discutere; e addirittura organizzarci, contro la miseria della vita che eravamo costretti ad affrontare vendendoci a ore per una varietà di lavori precari. Il clima è cominciato a cambiare dopo lo sciopero dei metalmeccanici milanesi del 1962. Alla Casa dello studente abbiamo per esempio organizzato uno sciopero della mensa - credo che fosse nel 1963. Per sei mesi circa siamo andati avanti a mangiare "all'asciutto", come si diceva allora, ossia panini. Nei primi giorni i picchetti furono piuttosto duri. C'era l'eterna Lombardia bianca degli studenti pendolari che volevano entrare in mensa a tutti i costi, anche se alla sera ritrovavano a casa la mamma e il pasto caldo. Il Politecnico e l'Università statale pretendevano di non avere soldi per migliorare la mensa: in una Milano da primo boom economico, era insostenibile la posizione dei due rettorati, che alle prime battute dello sciopero si rifiutavano di provvedere al miglioramento della mensa. Nella trattativa con le autorità accademiche il tiramolla era defatigante; anche se la Casa dello studente sfornava ingegneri e laureati della Statale a getto continuo e a costi irrisori. Fu in quell'occasione che mi resi conto dal vivo che è meglio non prendere mai l'avversario sottogamba. Dopo circa sei mesi i due rettorati passarono a più miti consigli, ma intanto qualcuno di noi si era rovinato lo stomaco. Durante lo sciopero scrissi i primi volantini. In séguito scrissi anche un memorandum ciclostilato sulla condizione studentesca.

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