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INTERVISTA A CARLO FORMENTI - 13 DICEMBRE 1999 |
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La cosa sostanziale, che a me e ad altri era sembrata evidente fin dal primo momento, è che una volta che si fossero creati questi organismi separati rispetto al livello di movimento di massa ci sarebbe stata inevitabilmente un'attrazione trasversale tra i vari organismi separati, cioè si sarebbe creata una specie di solidarietà trasversale tra i livelli clandestini o semiclandestini proprio per esigenze tecnico-organizzative, non soltanto per ideologia ed esaltazione del valore guerriero del confronto con l'avversario di classe, ma anche proprio per un'attrazione fisica si determinava la necessità che ci fosse una specie di unificazione sul piano militare, se non proprio unificazione di comando, ma unificazione che avveniva a livello di scambio di militanti, di informazioni, di collaborazione logistica e via dicendo. Ciò avrebbe portato rapidamente alla separazione di questo livello dal livello di autonomia di classe e di direzione politica da parte del movimento; questo anche in presenza dell'indebolimento dell'organizzazione politica dovuta allo scioglimento dei gruppi. Quindi, c'è questa fase, che va diciamo dal '75 al '78, molto ambigua, in cui i due livelli convivono in qualche modo, sia pure con un grado di conflittualità crescente tra la dimensione clandestina o semiclandestina e la dimensione invece ancora di organizzazione di massa e politica del conflitto, che per altro è già in riflusso evidente, con il progressivo impoverimento sia quantitativo che qualitativo; finché si arriva invece alla trasposizione di tutto lo scontro sul terreno militare, fondamentalmente dal sequestro Moro in avanti. Sappiamo quello che succede, c'è il colpo del 7 aprile e del 21 dicembre e proprio da lì comincia il massacro di tutto ciò che resta di organizzazione del movimento. Ciò a partire dal fatto che da un lato il processo di ristrutturazione era stato condotto ormai molto avanti e quindi questo aveva eroso la base sociale del movimento; e dall'altro assistiamo all'isolamento di quello che restava dell'organizzazione politica e la sua messa sotto accusa e sotto tiro a partire dal rilancio dello scontro militare operato dai livelli clandestini, e quindi la rapida liquidazione che avviene diciamo all'inizio degli anni '80, sancita sul piano militare con lo smantellamento delle organizzazioni e col fatto che più o meno tutti finiscono in galera, e sul piano invece sociale e di massa con la famosa marcia dei quadri della Fiat che liquida quello che resta di conflittualità a livello di fabbrica.
Da quando mi ero ritirato dalla militanza attiva, quindi parliamo del '75-'76, mi ero molto concentrato sul lavoro intellettuale, per cui pur avendo rotto sul piano della politica avevo tuttavia mantenuto rapporti di collaborazione sul piano della ricerca, in quanto fino al 7 aprile io ho collaborato con l'Istituto di Scienze Politiche della facoltà di Padova. Quindi, in sostanza ero un ricercatore precario della facoltà di Scienze Politiche, lavoravo su fondi del CNR, e lì ho portato avanti l'approfondimento sul piano teorico delle esperienze che avevo compiuto negli anni precedenti, concentrandomi in particolare sui temi della terziarizzazione del lavoro e dell'impatto delle nuove tecnologie sulla composizione di classe, sulle dinamiche del conflitto, sulle strategie della produzione e riproduzione capitalistica; da questo è nata una tesi di laurea che è diventata libro, che è "La fine del valore d'uso" che esce da Feltrinelli nel 1980. Successivamente ho abbandonato il terreno universitario e ho cominciato a lavorare come redattore di questo mensile culturale che è Alfabeta, cui sono arrivato attraverso il rapporto con Pier Aldo Rovatti e la rivista Aut Aut con cui collaboravo, e del cui comitato di direzione Rovatti faceva parte. E lì dall'80 all'88, finché dura Alfabeta, ho fatto questo tipo di attività, questo lavoro che dal punto di vista della militanza politica restava ancora esclusivamente fondato sulla battaglia di controinformazione che il mensile ha sempre fatto rispetto alla questione del 7 aprile (tra l'altro uno dei membri del comitato di direzione era Nanni Balestrini che aveva dovuto restare in esilio a Parigi per tutta la durata della vita della rivista). Questo è stato uno dei temi di fondo per quanto riguarda l'impegno della rivista sul piano della gestione della difesa dei soggetti che erano stati incarcerati con accuse di collegamento con le Brigate Rosse.
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