"Quando da una parte troviamo quelli che dicono: domani scoppia tutto e il vecchio mondo crollerà, e dall'altra parte quelli che dicono: per cinquant'anni non si muoverà niente, e i primi sono smentiti dai fatti e i secondi hanno ragione dai fatti, noi qui stiamo con i primi, noi qui dobbiamo stare con quelli che si sbagliano"
(M. Tronti, Operai e capitale)

DA DOVE PARTIAMO

Nell'attuale panorama antagonista il dato prevalente è la crescente frammentazione ed atomizzazione dei soggetti e degli ambiti che si propongono, con diversità molteplici e ben poco comunicanti, in una dimensione di lotta al capitalismo. Chiusi in un localismo con poca progettualità, si è persa la capacità di un confronto che non sia una semplice rincorsa di scadenze, ma che inizi a muoversi in un tendenziale percorso di superamento delle carenze esistenti per andare verso una direzione ricompositiva. In tale direzione uno dei primi nodi che individuiamo è la necessità di superare la contrapposizione tra teoria e prassi, ovvero la contrapposizione tra una teoria intesa come sterile discussione ed analisi dell'esistente senza l'obiettivo del suo superamento, ed una prassi che spesso si traduce in un vivere politicamente alla giornata senza porsi il problema di continui passaggi a livelli progettualmente più alti. Una teoria che sia realmente antagonista non può limitarsi a fotografare il capitale dal suo punto di vista, ma deve, partendo dalla propria parzialità di classe, porsi su un terreno di irriducibile contrapposizione e progettata distruzione dell'attuale sistema; ed in questo si deve unire alla prassi in una processualità virtuosa e che sappia continuamente arricchirsi. Non si è su un terreno rivoluzionario se ci si limita ad analisi che non sappiano congiungersi al continuo agire e sperimentare. Di fronte ad una realtà in costante movimento, discontinua e gerarchizzata in molteplici livelli, non è sufficiente né la sola (e spesso supposta) conoscenza né il semplice (e spesso supposto) essere contro. Oggi c'è chi ha rinunciato a scommettere sulla classe, nell'acritico entusiasmo per un'innovazione tecnologica (che è propriamente innovazione capitalistica) ritenuta portatrice di forme di liberazione sempre più diffuse, armoniosamente e profeticamente marcianti verso il superamento del capitalismo senza nemmeno doversi più curare delle vecchie questioni (classe, lotte, rifiuto del lavoro, soggettività antagonista). Dall'altra parte c'è chi è ostinatamente arroccato su posizioni resistenziali, nell'inconcludente ed inutile difesa di ciò che, ancor prima che dalle forme di recupero e sussunzione del capitale, è stato sconfitto dalle lotte e dal rifiuto di classe. C'è una sostanziale incapacità di guardare alla composizione e a quella soggettività di classe (in quanto insieme di bisogni, conoscenze, volontà, comportamenti) a cui spesso si fa riferimento e nel cui nome si vorrebbe agire; guardarvi non per piegarsi al suo volere, ma per agire su di essa, radicalizzarne gli aspetti conflittuali, forzarla continuamente e progettualmente a passaggi di livello nella direzione di scontro con il capitale. In termini marxiani, le lotte impongono al capitale dei passaggi su nuovi terreni. E' su questo nuovo terreno che dobbiamo portare la sfida, sapendo leggere da un punto di vista di classe la tendenza, agendo su di essa, anticipandola, controusandola e progettualmente deviandola verso i nostri fini. Indietro non si torna: intestardirsi nella difesa (sindacale e vertenziale) di ciò che è passato, vuol dire non solo essere sconfitti, ma rinunciare a costruire un percorso antagonista progettualmente organizzato. Il processo di scomposizione e frammentazione che il capitale è riuscito ad imporre e mettere in atto si riproduce nei nostri ambiti politici anche a livello teorico. Continua infatti ad essere prevalente una settorializzazione dell'intervento politico: gli "studenti", gli "immigrati", i "lavoratori" e così via. Anche in questo caso non si riesce a leggere e a controusare (nei termini di cui si parlerà più avanti) il processo di costante lavorizzazione dell'agire umano. Ed attorno al lavoro (uno dei nodi fondamentali e trasversali del nostro agire contro) e alla lotta contro di esso dovremmo iniziare ad avere una capacità di tendenziale ricomposizione politica. Il partire dai propri limiti, dai propri errori e dalle proprie insufficienze non significa assolutamente limitarsi a fotografare una situazione che non è adeguata; al contrario ciò è indispensabile per ri-attivare, con chi è ancora intenzionato a scommettere sulla classe, una capacità di confronto e dibattito che sappia continuamente mettersi in discussione ed in gioco come soggettività antagonista. Lo scopo di questa ipotesi di inchiesta è iniziare a conoscere, discutere e approfondire politicamente, in una processualità aperta, alcuni nodi legati alle trasformazioni del capitale e della classe in un percorso mirato alla ricerca della costruzione di una soggettività politica antagonista.

RI-PARTIAMO DAL PASSATO PER GUARDARE AL FUTURO

Quello che qui ci interessa non è né fare delle ricostruzioni storiche né elaborare delle considerazioni che, ex-post, giudichino i vari punti di vista che si sono espressi all'interno del movimento. Gli ambiti antagonisti cercano spesso di porsi su un terreno di continuità con gli anni '70 nell'esclusiva ricerca di una radicalità "identitaria" e, molte volte, nella sua folcloristica immagine. Quello che manca è la capacità di usare e contestualizzare esperienze e intelligenze per confronti non rivolti al passato ma che si pongano l'obiettivo della costruzione di un percorso antagonista rivolto al presente e soprattutto al futuro. Per fare ciò (ed è rivolta a questa composizione discriminante che intende iniziare a muoversi la nostra inchiesta) vogliamo contattare alcuni di quei soggetti che con percorsi, posizioni e livelli differenti sono stati interni alle esperienze e agli ambiti dell'operaismo e dell'Autonomia Operaia, in contiguità a questi o i cui punti di vista, anche se critici e da essi diversi, hanno avuto un'importanza per il loro bagaglio teorico-politico. Sempre tenendo ben presente lo scopo dell'inchiesta e il suo obiettivo temporale (il presente e il futuro), si vuole affrontare l'analisi soggettiva delle ricchezze e soprattutto dei limiti che i propri percorsi, punti di vista e/o proposte politiche hanno avuto, e quanto ciò serva o possa servire rispetto alla realtà odierna. L'analisi dei propri limiti è un elemento fondamentale: solo attraverso l'autocritica è possibile migliorare per salire ad un livello più alto. Sia per ciò che riguarda il passato che per il presente, la capacità autocritica è purtroppo abbastanza rara: è molto più facile e comoda l'autocritica degli altri o l'addebitare la causa di certe sconfitte esclusivamente alla repressione, inevitabile risposta all'innalzarsi dello scontro di classe. In un dibattito interno al movimento dobbiamo partire dalla constatazione che oggi a inibire e frenare lo sviluppo di percorsi antagonisti non è la repressione ma il consenso e l'accettazione rispetto all'esistente: ciò è verificabile sia all'interno della classe che negli ambiti e tra i soggetti antagonisti. Torna ancora una volta il nodo della soggettività politica e della necessità di invertire la tendenza.

INIZIARE A MUOVERSI IN TRE DIMENSIONI

Trasformazioni del lavoro e delle forme di accumulazione capitalistica, vecchi e nuovi paradigmi produttivi, frantumazione e atomizzazione o supposta fine della classe: su questi nodi si sono sviluppate varie e diversificate forme di dibattito che hanno prodotto non solo elaborazioni teoriche ma anche modi d'agire e proposte politiche che sempre più paiono prendere le distanze dal terreno della contrapposizione al capitale. Vogliamo perciò iniziare a ragionare e approfondire i nodi legati a tre dimensioni.
1) Il capitale: composizione, trasformazioni, forme di produzione e nuovi modelli di accumulazione, tendenza, forme di dominio, soggettività capitalistica.
2) La classe: composizione tecnica e composizione politica, subordinazione e autonomia, forme di accettazione e di rifiuto, dove e quali soggetti esprimono conflitto, tendenza, soggettività di classe. Capitale e classe sono le due parti dell'attuale sistema, legate tra loro da rapporti di dipendenza, subordinazione e contrapposizione. La classe è però la parte che dà il capitale attraverso l'erogazione di lavoro: ciò fornisce alla classe quell'autonomia che è alla base dell'irriducibile antagonismo in un sistema basato su un rapporto di sfruttamento. Antagonismo non tra capitale e lavoro oggettivisticamente intese come statiche e al loro interno indifferenziate entità fatalisticamente destinate a contrapporsi, ma antagonismo tra capitalisti e lavoratori in quanto classe che rifiutando il lavoro, negandosi come forza-lavoro, nega se stessa come parte del capitale. Benché la classe esprima spontaneamente forme di rifiuto e di conflitto (il nodo della soggettività di classe), ciò non può bastare a rendere possibile un percorso antagonista di radicale contrapposizione e progettata alterità. E qui, affrontando il nodo del superamento della spontaneità, cominciamo ad addentrarci nella terza dimensione, per noi la più importante ed in qualche modo a tutte trasversale nel nostro ipotizzato percorso.
3) La costruzione della soggettività politica antagonista che, dinamicamente dall'interno dei processi di classe, ma rimanendo al contempo qualcosa di differente, li sappia continuamente portare ad un livello più alto, rompendo e superando il precedente, verso la loro ricomposizione e in un progettuale percorso di uscita dal capitalismo. All'interno di questa dimensione iniziamo a buttare sul tappeto, in ordine sparso, alcuni nodi. La formazione. Qui il discorso va affrontato su più livelli. Il capitale investe sul discorso della formazione in modo sempre più strategico; purtroppo la stessa lungimiranza non è propria degli ambiti antagonisti. Nel nome di una visione che continua ad identificare il lavoratore esclusivamente con il produttore di merci materialmente tangibili, gli interventi politici su scuola e università vengono considerati come fase di gavetta e passaggio nell'attesa di entrare nel cosiddetto "mondo del lavoro" (ed anche in questo caso la terminologia capitalistica si impone). Nel processo di costante lavorizzazione della società e dell'agire umano, lo studente, in quanto contribuisce alla produzione di cultura (in quanto merce) e alla formazione della propria capacità umana (in quanto merce), in quanto dunque coproduttore di forme di materialità intangibili (e sempre più strategiche), è già a tutti gli effetti un lavoratore, anche se non direttamente salariato. I luoghi della formazione (sempre più diffusi) assumono dunque un aspetto antagonisticamente strategico e in qualche modo trasversale a tutti gli ambiti di intervento politico. Che formazione si esprime poi negli ambiti politici antagonisti? Come si possono eventualmente anche controusare i mezzi della formazione capitalistica dal punto di vista dell'agire di classe e rivoluzionario? Strettamente legato al discorso della formazione è quello della militanza, non in quanto astratto modello valido per ogni situazione e contesto, ma come agire politico di singoli e collettivi che si ponga un discorso di costruzione e continuità di percorsi antagonisti. La comunicazione. Negli ambiti di movimento ci sono attualmente alcune radio, molti giornali a diffusione locale e qualcuno a livello nazionale. Non sarà moltissimo ma non è nemmeno poco. Quello che invece manca del tutto o quasi è un progetto o anche solo un dibattito sul discorso comunicativo. E poi i mass media capitalistici esistono e contano parecchio: o si fa finta di niente, o sarebbe il caso di iniziare a confrontarsi anche su questo terreno. Il che non significa, come ipotizza e fa qualcuno, un loro supposto utilizzo che, nella pratica, si traduce nell'abbandonare il proprio essere contro. Vuole invece dire non rinchiudersi in uno sterile rifiuto, ma, come per gli altri ambiti, pensare e sperimentare forme di effettiva contrapposizione. Su un livello più profondo la comunicazione tocca poi tutta una serie di aspetti dell'agire politico e della costruzione di percorsi (dagli interventi alle riunioni, dai volantini agli slogan). Il radicamento. Innanzitutto è importante sottolineare la differenza tra radicamento e consenso. Spesso, riproducendo inconsciamente le logiche dei partiti (le cui azioni sono finalizzate al prendere voti) si mira nel proprio agire politico ad arrivare indiscriminatamente alla "gente". Ma prerogativa dell'agire politico antagonista è la capacità di discriminare, di far prevalere la propria parzialità di classe e, all'interno della classe, di quella parte e di quei soggetti che producono conflitto. I soggetti di classe effettivamente o potenzialmente rivoluzionari e ricompositivi non sono necessariamente quelli percentualmente più numerosi o più colpiti. Negli anni '60 l'operaio-massa era soggetto centrale e ricompositivo nelle lotte in quanto produceva conflitto ed era in una posizione strategicamente centrale. Essendo la realtà gerarchica, non tutti gli ambiti sono uguali. L'intervento politico e l'ambito che si sceglie costituiscono una scommessa, che va continuamente verificata ma sviluppata progettualmente negli anni.

L'organizzazione. Tale parola è ormai da molto tempo coperta da un generale ostracismo da parte degli ambiti antagonisti, tanto che, nelle rare occasioni che la si nomina, è preventivamente necessario sottoporsi ad un rituale di doverose premesse e rassicurazioni: che non si stanno proponendo forme partitiche, che non ci si è convertiti a concezioni dogmatiche e ortodosse, e via di questo passo. Non si corrono rischi se invece si usa la parola autorganizzazione, termine che però, al di là di alcuni innegabili ed importanti significati che riveste nell'immaginario comune, negli ambiti di movimento ha creato molte confusioni (o almeno le hanno create un suo uso distorto). La realtà che abbiamo di fronte ed in cui siamo inseriti è composta da numerosi livelli rigidamente gerarchizzati: tali livelli sono completamente funzionali ed anzi indispensabili allo sviluppo del sistema capitalistico. Non si può pensare che il solo far parte di un ambito antagonista faccia sparire, come per un colpo di bacchetta magica, tale gerarchia di livelli, appianando le differenze di saperi, conoscenze, intelligenze, esperienze che i soggetti hanno (anche per proprie scelte soggettive). Il non negare tale realtà non significa assolutamente accettarla, o proporre forme organizzative semplicemente speculari a ciò a cui ci si vuole contrapporre. E qui iniziamo a sviluppare il nodo, già citato in precedenza, del controuso dei mezzi capitalistici. Tali mezzi (e dunque anche l'organizzazione in quanto mezzo finalizzato al potenziamento dell'agire) non sono neutri, però presentano una fondamentale ambiguità ed ambivalenza: se il capitale li usa per il proprio sviluppo, la classe li può controusare contro il capitale e per i propri fini. Nel controuso delle loro potenzialità per i propri scopi la classe deve però da subito metterli in discussione in quanto mezzi capitalistici, e quindi controusarli anche in direzione di un loro superamento e nella costruzione di alterità. Quindi l'organizzazione non come proposizione di magici modelli staticamente validi una volta per tutte ma come dinamico e processuale strumento che dia potenza ed efficacia ad un agire collettivo composto da soggetti che partono inevitabilmente da livelli differenti; dunque non forma perpetuante le gerarchie esistenti ma contro di esse, in un tendenziale livellamento, verso l'alto però, e non masochisticamente verso il basso! La progettualità. E' il frutto di una dimensione collettiva capace di individuare la tendenza di una realtà in continuo movimento e sapere agire su di essa, piegandola e deviandola verso i propri fini. La progettualità come continua elaborazione, sperimentazione e verifica di una processualità virtuosa tra teoria e prassi. Non progettualità come una o più parole d'ordine valide ovunque, ma come dinamico arricchimento e ricomposizione di specifici territoriali che si muovono, partendo da posizioni comuni, verso una direzione comune e continuamente da verificare nei suoi passaggi. Le lotte. Conflitto e lotta generica sono categorie differenti da quella della lotta di classe, che implica consapevolezza, radicalizzazione, progettualità e organizzazione dello scontro non in generale, ma contro il capitalismo. Le lotte, cambiando la realtà e i rapporti di forza, incidono sui soggetti in esse coinvolti e quindi sulla soggettività politica che in esse si esprime.

RICERCARE PER TRASFORMARE E COSTRUIRE ALTERITA'

Questo documento vuole essere un primo momento di confronto sui nodi e sulle ipotesi in esso contenute. Riteniamo importante partire da un qualcosa che per il momento chiamiamo inchiesta, parola magica di cui molto spesso si sente parlare ma poca ne viene fatta e ancora meno ci si intende sul suo significato e la sua utilizzabilità in senso antagonista. Per evitare di riportare semplici definizioni e differenze teoriche, vorremmo rifarci e ripartire da chi l'inchiesta e la conricerca (e sono due cose diverse) l'hanno fatta. E magari proponendoci di iniziare a controusare un pò alcuni mezzi capitalistici, assumendo in maniera critica e problematizzante l'ambivalenza sistemica per svilupparne la faccia autonoma, controusabile dalla classe, in un percorso di conoscenza e tendenziale approfondimento delle contraddizioni volto ad una dinamica e progettata rottura degli equilibri che di volta in volta si vengono a costituire. Questa ipotesi di progetto vuole ambiziosamente essere l'inizio di un percorso che sappia sedimentarsi e verificarsi continuamente, produrre processualmente nuova conoscenza sulla realtà non per fotografarla ma per trasformarla, aprire e arricchire un dibattito che non sia fine a se stesso ma che possa essere strumento dell'agire politico antagonista, di un agire che ci porti progettualmente ad essere in modo sempre dinamicamente nuovo dalla parte di chi si sbaglia.