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INTERVISTA A RITA DI LEO - 11 DICEMBRE 2000


Secondo te, quali sono state le ricchezze e i limiti di Classe Operaia, sia dell'esperienza nel suo complesso sia delle posizioni e delle figure che in essa si sono confrontate e anche contrapposte?


Classe Operaia è stata il momento della gioia e dell'illusione di poter fare qualcosa: essendo tutti noi intellettuali, l'idea che invece di essere solo tali, potevamo "fare" qualcosa è stata assolutamente coinvolgente. Ora, per quel che mi riguarda io ho un piccolissimo episodio da raccontare e che è legato all'esperienza dei cantieri edili di cui mi occupavo: riuscire, come ebbi l'opportunità di fare, ad organizzare uno sciopero non sulla piattaforma sindacale ma spostando il sindacato di base sulle posizioni nostre - adesso sorrido - ma all'epoca quel piccolo sciopero mi pareva fosse l'anticamera della rivoluzione.
Fare invece che semplicemente studiare i padroni e il capitalismo, come si diceva allora. Classe Operaia ha significato questo, e non a caso si è consumata rapidamente, perché essendo tutti mediamente più intelligenti della media ci siamo resi conto, ma Mario Tronti prima di tutti, quanto fossimo folli nello sperare di poter cambiare la politica del Partito Comunista e la piattaforma della CGIL. Si tenga presente che uno dei nostri maggiori limiti era il fatto che non vedevamo il resto del mondo, noi avevamo due attori: uno erano gli operai con cui venivamo a contatto, e l'altro erano il Partito Comunista e la CGIL, che secondo noi avevano deviato dalla via della rivoluzione. Che ci fossero la CISL e tutte le altre forze padronali o culturali era secondario, cioè c'erano, esistevano, le studiavamo, ci scrivevamo persino libri per descriverle, però non avevano per noi effettiva rilevanza.
La nostra illusione è durata pochissimo ed è durata fino a quando ci siamo resi conto che non stavamo spostando il PCI dalla nostra parte: a quel punto è cominciato il conflitto con altri dentro Classe Operaia, i quali invece ci stavano dentro per esigenze esistenziali, per cui erano convinti che comunque muoversi significava avere un ruolo. Noi che eravamo in totale buona fede, il nostro ruolo lo volevamo positivo e lo volevamo avere con la classe operaia presso il Partito Comunista e la CGIL, non contro la classe operaia o contro il Partito Comunista e la CGIL; quando ci rendemmo conto che non era possibile ci fu la rottura con gli altri che volevano continuare comunque.
Tutta l'esperienza è stata rapidissima, è durato pochissimo tutto; la sua peculiarità è stata proprio il fatto che per tre o quattro anni abbiamo creduto di poter incidere sulla situazione politica italiana. Detto senza ironia perché eravamo giovani. Eravamo 'quattro gatti', c'era questo giornale, fatto bene devo dire, bello, anche dal punto di vista grafico. Ci sentivamo i bolscevichi del momento? Non lo so, io penso che con alcune eccezioni, tipo Mario e tipo Raniero, che era fortemente antisovietico e anticomunista, dei bolscevichi conoscevamo pochissimo; io ho cominciato a studiarli nel '65 e nel '66 è finita Classe Operaia. Eravamo intellettuali atipici, che non si accontentavano di essere tali intellettuali ma volevano agire in senso anticapitalista come antiborghese. Ricordo benissimo che con Mario Tronti feci un giorno una delle nostre solite passeggiate per Roma, era il 1967, Classe Operaia era finita da circa un anno; facemmo insieme un'analisi assolutamente distruttiva di quello che avevamo dietro di noi e dinanzi a noi e ci chiedemmo: "Che cosa ci rimane?" e tutti e due rispondemmo: "Beh, l'odio per chi ha vinto". E questa credo che sia la cosa che è rimasta, almeno in Mario e in me, dopo tanti anni.


Tronti è comunque poi rientrato nel PCI e ha cercato in altro modo di costruire un punto di vista che desse continuità ad una serie di ipotesi.

Questa è stata la sua illusione mai realizzata. Mario veniva da un'esperienza tutta comunista; lui è stato segretario della FGCI all'università, la sua famiglia era comunista, viveva in un quartiere operaio di Roma, per mantenersi all'università aveva fatto lo scaricatore ai mercati generali, suo fratello faceva e fa lo stesso. Per lui era difficilissimo staccarsi dalla sua sezione, tanto è vero che quando la federazione romana gli sospese la tessera, i suoi compagni piangevano e poi gliela restituirono l'anno dopo. Bisogna capirlo, era il suo mondo, il suo ambiente, lui è un grandissimo intellettuale ma suo padre carrettiere lo portava in sezione da ragazzino; io vengo da una famiglia di intellettuali, a casa nostra si parlava delle differenze tra Gide e Brecht. Se uno nasce in una certa famiglia è una cosa, ma se invece ti portano in quelle che erano le sezioni comuniste dei quartieri popolari della Roma degli anni quaranta e cinquanta, il coinvolgimento psicologico rimane fortissimo; lui ne è uscito adesso con amarezza e disperazione per quello che è successo al partito che lui aveva conosciuto.

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