Ora, quello che volevo dire io, e quindi era una notazione di carattere positivo, è che non esisteva un simile collettivo da noi: all'epoca dei Quaderni Rossi - ma anche di Classe Operaia - c'era uno più "anziano", che ne sapeva di più, che ti diceva cose che non sapevi e tu le stavi a sentire perché ti interessavano, senza conflitti generazionali e altre cose del genere. All'epoca dei Quaderni Rossi questi "anziani" che ne sapevano di più erano due, uno ai nostri occhi era proprio più anziano (in realtà aveva solo quarant'anni), un altro meno anziano, Mario, e noi li ascoltavamo tutti e due con grande partecipazione, accade così, più o meno, quando si è un gruppo.
Che cosa è successo dopo? E' successo che dalle esperienze di tipo intellettuale tipiche dei Quaderni Rossi, siamo passati alle esperienze di tipo militante di Classe Operaia: allora, ciascuno di noi poteva dare la sua versione della propria esperienza e discuterla con gli altri, ma discuterla sempre nell'intesa che poi c'era uno che tirava le fila. Non c'è mai stata nessuna parità, mai, non poteva esserci, sia per l'età e sia anche perché noi francamente non avvertivamo l'esigenza della parità.
Noi volevamo che le nostre esperienze fossero conosciute dagli altri del gruppo, e diciamo che le tensioni che si crearono all'epoca dei Quaderni Rossi furono non tanto tra anziani e giovani, ma all'interno dei giovani su questioni proprio di tipo politico-culturale, nel senso che noi eravamo più a sinistra di un tipo come il povero Vittorio Rieser, che adesso è tanto di sinistra, ma che a noi nel 1961 sembrava di destra, perché gli imputavamo questa cosa terribile di aver letto Max Weber prima di Marx, per noi era una cosa imperdonabile, rendetevi conto della comicità della cosa. E insomma uno come Vittorio Rieser aveva una cultura che a noi pareva sociologica, e noi davamo a questo termine, sociologico, un giudizio così negativo, il peggio del peggio; noi eravamo convinti che la nostra esperienza con l'operaio X era molto più importante di quello che lui poteva sapere sull'organizzazione del lavoro all'Olivetti. Ma tutto poi era nel quadro dell'autorità indiscussa di Raniero e di Mario.
L'autorità di Raniero va in crisi ai nostri occhi quando appunto si schiera con la "sociologia" invece che con la militanza politica, e noi, come è risaputo, abbiamo scelto di staccarci dai Quaderni Rossi e fare Classe Operaia. Stiamo parlando di un periodo in cui appunto ricominciavano le lotte operaie, come gli scioperi alla Fiat del 1962. L'esperienza di Classe Operaia si è allargata perché appunto altri studenti come noi nelle varie città facevano "militanza" simile alla nostra. L'esistenza di Classe Operaia era circolata e serviva da collante. Per 'contarci' ci riunimmo a Piombino, il primo maggio del '63 - al circolo degli anarchici perché nessuno aveva voluto darci in fitto una sala - e lì decidemmo di fare il giornale, i volantini, e quello che pomposamente chiamammo "l'intervento politico nelle lotte operaie". Diciamo che l'operaismo come fenomeno politico condiviso nasce il primo maggio del '63 a Piombino.
Le persone presenti erano circa un centinaio e molto disomogenee culturalmente e politicamente. Intanto essendo in Italia, vi erano molti d'estrazione cattolica e quindi in loro c'era una sorta di afflato sociale o di populismo originario che a noi di Roma era completamente estraneo: noi eravamo laici e volevamo proprio quello che si chiama lo scontro di classe, non è che volevamo andare ad aiutare gli operai, noi volevamo che gli operai combattessero i padroni. La gran parte di questi nostri compagni, ad esempio Mauro Gobbini che era stato con Danilo Dolci in Sicilia ad altri, avevano un orientamento ideologico populista: noi (sto parlando del gruppo di Roma) avevamo disprezzo per Danilo Dolci, perché per noi, come aveva ben spiegato Lenin, era uno che si preoccupava delle coscienze di chi andava invece sospinto a muoversi, a lottare. Intellettuali come Danilo Dolci erano lontani; abbiamo scoperto dopo che la gran parte di quelli con cui avevamo a che fare, non di Roma, avevano esperienze di tipo populista, cioè erano andati verso il popolo. A noi importava che gli operai facessero la rivoluzione, se mai si può dire un'assurdità del genere. Distinguevamo nettamente tra popolo e operai: noi eravamo per gli operai e non avevamo alcuna propensione verso il popolo genericamente inteso.
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