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INTERVISTA A FERRUCCIO DENDENA - 13 MARZO 2000 |
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Ma questa è, secondo me, una discussione abbastanza difficile, perché non è vero in assoluto che siamo di fronte a nuovi processi di subordinazione pura e semplice; io, cioè, non credo che non ci siano anche dei momenti di valorizzazione vera dei nuovi soggetti produttivi. Penso che, in parte, questa possibilità e opportunità di valorizzazione venga data, ma bisogna stare molto attenti, perché è proprio la difficoltà grossa in una situazione in cui non è più così facile dire, come nel fordismo, che l'operaio della catena di montaggio è facilmente identificabile come protesi della macchina; oggi siamo di fronte al fatto che questa protesi è intelligente, in grado di governare il ciclo produttivo, capace addirittura di avviare nuovi cicli. Ma questo non basta a dire che c'è la libertà, o che c'è un grado di libertà maggiore; ma, nello stesso tempo, sostengo che è molto difficile nell'analisi critica spiegare queste cose, ossia bisogna entrarci dentro, nel merito. Non basta dunque dire che è vero (ed è vero) che le leve del comando restano comunque non solo nelle mani di un sistema che mantiene la natura capitalistica, ma che addirittura ci sono processi di concentrazione a livello internazionale dei centri di comando, di concentrazione vera e propria del comando. Questo è vero, ma non basta a dire che questo è un processo che immediatamente lascia intravedere le forme moderne di schiavitù, perché o si è capaci di compiere un'analisi articolata e di capire come si va a conformare la nuova società produttiva, oppure si rischia davvero di fare dei discorsi non ascoltati, o addirittura di non riuscire a comunicare con i nuovi soggetti. Il problema, dunque, è di non riuscire a comunicare perché si parte da un presupposto un po' troppo facile e meccanico: "Guarda che tu sei la forma moderna di proletariato", rivolto a chi pensa esattamente il contrario, a chi pensa che sia finita l'epoca della necessità del lavoro subordinato e, quindi, di un comando completamente esterno. C'è chi è convinto, ed ha anche delle motivazioni per esserlo, di essere comunque un soggetto che può dire la sua; e non è sbagliato, nel senso che questo discorso sull'autonomia concessa al nuovo soggetto produttivo è forse uno dei temi più importanti da approfondire.
Io non so se lo schema generale (per semplificare estremamente) possa essere quello di una concentrazione del comando a livello internazionale, e di una concentrazione con un livello di violenza altissimo, cioè con spazi di mediazione ridotti al minimo rispetto a conflitti radicali di interessi, quindi una logica durissima di prevenzione e di repressione immediata sulle aree di conflitto; e, a fronte di un comando di questo genere a livello internazionale, gradi di libertà periferica ampi, o relativamente ampi, per favorire quello che oggi viene considerato uno dei valori fondamentali, la mobilità dell'intelligenza, e non solamente sul territorio. La mobilità dell'intelligenza non è solamente "vai a lavorare dove servi", ma "vai a lavorare dove tu ritieni più interessante farlo", quindi addirittura come libera scelta. E' anche questo un fatto che si sta massificando parzialmente: puoi andare a lavorare in capo al mondo, sei libero di farlo, l'importante è che rientri in questa nuova maglia di regole di comando a livello internazionale, in cui la tua, alla fin fine, è comunque una libertà controllabile. Questo qualcuno potrebbe definirlo una sorta di nuova antropologia del soggetto produttivo, del moderno sfruttato; un'antropologia in cui, appunto, la parte lasciata all'intelligenza e alla libera scelta aumenta. Ma anche questa nuova antropologia dell'operaio della fabbrica capitalistica non è che sia qualcosa di ben pianificato dal sistema, cioè qualcosa che sia controllabile per lo meno come era la forza-lavoro dequalificata degli anni '50, '60 e solo in parte '70. Io non so se davvero in questo nuovo scenario necessario del capitale internazionale ci sia di mezzo anche un aumento della debolezza del suo tallone d'Achille. Ho la sensazione di un rafforzamento delle regole di compatibilità, ossia delle regole per cui la logica preventiva dell'intervento diretto nelle aree di conflitto è molto più serrata di prima: da episodi grossi a livello internazionale (penso, ad esempio, alla stessa Corea, anche se lì c'è un tipo di forza-lavoro che solo apparentemente assomiglia al nostro operaio-massa, ma che è in realtà un qualcosa di diverso) fino ai conflitti più territoriali (sentivo in questi giorni di manifestazioni di protesta fatte da bambini contro i tagli dei servizi nelle scuole elementari, con la questura milanese che manda i mezzi blindati comunque a sorvegliare).
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