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INTERVISTA AD ALISA DEL RE - 26 LUGLIO 2000

Secondo te, come si può analizzare o spiegare il fatto che per un certo periodo tutta una serie di donne che militavano anche in ambito misto (chiamiamolo così), oppure che non facevano nulla inizialmente, hanno cominciato a interessarsi, a militare nel movimento femminista e quindi a essere partecipi, e poi, se non improvvisamente comunque con abbastanza rapidità, sono rimaste poche le femministe di quel periodo che tuttora pensano certe cose o hanno continuato a fare determinati percorsi? Magari le altre nell'educazione dei figli, nel modo di conduzione della propria vita privata hanno fatto tesoro di quella militanza e dunque hanno provato a imporre un'educazione e un modo di conduzione di vita diverso, però lo hanno fatto nel privato, mentre nel politico sembrano essere assenti.

Ci sono due problemi che mi poni: uno è quello della doppia militanza, cioè il rapporto tra o partito o gruppo politico ecc. e femminismo, e l'altro è invece questo andamento carsico del femminismo. Ti rispondo dunque in due momenti diversi. Quello della doppia militanza è un discorso difficile perché rompe le appartenenze: io ho conosciuto donne che erano per esempio militanti nei gruppi politici extraparlamentari, che contemporaneamente si sentivano femministe e che si trovavano di fronte a scelte drammatiche. Perché poi il femminismo ha costretto le donne a scelte drammatiche dal punto di vista personale, il nemico era in casa spesse volte: se una doveva ritagliarsi una specie di autonomia personale e avere delle relazioni con amanti, amici, mariti, figli, padri, insomma con maschi che erano di sinistra, quindi che condividevano una buona parte delle idee di trasformazione della società, francamente si trovava molto a disagio. Penso solo al maschilismo degli operai di Marghera dell'epoca, quando si permettevano dei pesantissimi giudizi sul nostro aspetto fisico e non dico di quelle poverette con dei seni grossi che si sentivano veramente morire quando andavano a distribuire i volantini alle sei di mattina. Dunque, era una cosa estremamente complicata, legata all'identità proprio personale e legata anche a una scelta di vita: una non poteva mica sempre mollare il marito perché alcune prese di posizione erano giuste, anche se ci sono stati dei matrimoni falliti. Erano scelte così drastiche e violente che posso capire che molte facessero le femministe di nascosto e le compagne invece pubblicamente. Poi con il partito la cosa era ancora più complessa, perché, nonostante che le donne abbiano sempre pensato che il Partito Comunista fosse per loro una specie di buon papà che in qualche maniera avrebbe raccolto le richieste delle bambine piccole, non c'è stato in Italia un partito che abbia assunto come proprie le tematiche, almeno negli anni '70, dei gruppi femministi. Si sa che molta parte della militanza del Partito Comunista era di tipo famigliare addirittura, quindi per tradizione, io ho conosciuto famiglie (intendo madri, nonne, figlie) iscritte al PCI e la cosa diventava ancora più dilacerante, perché era un tipo di affezione storica e di una difficile trasformazione. Ricordo anche storicamente la presenza dell'UDI (Unione Donne Italiane), che era ferocemente ostile al movimento femminista, che è stata ferocemente ostile per esempio al movimento per il divorzio e che come associazione si staccò dal Partito Comunista nel '76 quando il PCI si rifiutò di far scendere in piazza i propri militanti per l'aborto dopo i fatti di Seveso (dunque la diossina, donne incinta che dovevano abortire perché avevano paura di generare dei mostri): in quel momento, per esempio, con la separazione dell'UDI dal PCI, ci furono molte militanti del partito che ne uscirono ed entrarono nel movimento femminista. Ma dopo c'è stata la teoria della differenza e la Luisa Muraro, la Cigarini e queste donne che secondo me sono state un dramma per il movimento femminista, nonostante siano molto intelligenti e molto capaci: non è che abbiano detto delle cose sbagliate, è che hanno incitato a una pratica secondo me assurda. Queste donne hanno favorito la Carta Itinerante, il patto lanciato da Livia Turco nell'87, l'hanno favorita come patto tra donne all'interno e all'esterno del partito. Questo patto si fondava su una delle teorie della differenza che era quella dell'affidamento: si constatava che le donne facevano sempre riferimento a uomini potenti, cioè quando si scrive una bibliografia, si fa un riferimento o c'è una nota si fa sempre a un teorico, e invece secondo loro bisognava farlo a una teorica perché bisognava affidarsi a donne potenti. Allora, trasferendo questa teoria al rapporto movimento-partito le donne del partito ricevevano valore dalle donne del movimento e, viceversa, le donne del movimento avevano un canale privilegiato con le istituzioni attraverso questo riferimento alle donne del partito. Quindi, c'è stato un primo momento di doppia militanza affettiva diciamo, coatta e perché non si riusciva a staccarsi; le donne si sono staccate e poi le donne della differenza le hanno rimesse dentro con questa Carta Itinerante, un patto dell'87 tra donne, fatto dalla Livia Turco insieme alle donne della differenza. Quello che volevo dire è che questo rapporto femminismo e strutturazione della domanda politica attraverso i partiti o i gruppi è un rapporto altalenante anche in Italia, come del resto all'estero, che ha degli andamenti legati a momenti contingenti, mode.

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