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INTERVISTA AD ALISA DEL RE - 26 LUGLIO 2000

A me viene un po' da ridere quando adesso si parla di femminilizzazione del lavoro, oppure di affettività nel lavoro, oppure di lavoro immateriale o queste cose qui: mi sembra sempre quasi che mi prendano in giro perché sono cose che noi negli anni '70 dicevamo ogni giorno, quando ci inventavamo che esiste una forma lavoro che non è contabilizzata e che pure è quella che ci permette intanto di riprodurre la forza-lavoro e che ci permette comunque la produzione materiale, se non c'è quella la produzione materiale non è proprio possibile. In realtà adesso il fatto che questi elementi non siano stati fatti propri dalla generalità del movimento quando sono venuti fuori ha permesso alla struttura capitalistica della produzione un grosso anticipo che noi adesso stiamo rincorrendo, perché tutti i discorsi che si fanno ora sul lavoro immateriale e, insisto, sull'affettività (Toni la chiama proprio affettività, affection) nella produzione sono discorsi che il capitale ha già messo in atto. Ora dentro questo c'è un altro discorso che le donne hanno fatto da una vita e che però secondo me potrebbe correggere da un punto di vista teorico questa analisi sulla produzione immateriale e che è il discorso del corpo. Questo non è il dire "noi abbiamo un corpo che sempre bisogna curarlo perché dobbiamo stare bene, non stiamo bene nel nostro corpo e queste cose qui", il capitale ha già fatto questo discorso: è invece il discorso che la produzione è vero che è produzione immateriale, però questa non può passare nella realtà a prescindere dai corpi. Noi (in questo caso parlo delle femministe degli anni '70) facevamo un discorso sull'impossibilità di contabilizzazione del lavoro domestico (lo chiamavamo proprio domestico) perché non c'era possibilità di seguire il processo di valorizzazione della merce, perché la merce, per quanto uno potesse dire sempre che era il corpo del lavoratore, ma insomma non era vero che fosse il corpo del lavoratore, era la mente, il suo ambiente relazionale, la sua stabilità psichica, affettiva e quello che vogliamo, non si poteva dunque contabilizzarlo. Però, da un punto di vista operaio l'obiettivo del vivere bene (mi ricordo che Lotta Continua faceva il discorso della qualità della vita, che voleva dire vivere bene e non qualità buona o cattiva), questo discorso operaio era sensatissimo, l'unico dotato di senso in politica, perché mi domando chi fa qualsiasi discorso politico dicendo che bisogna vivere male, neanche i protestanti lo fanno. Se questo discorso qui fosse stato assunto quando noi donne o noi femministe lo ponevamo come elemento del nostro sfruttamento, cioè eravamo noi che garantivamo alla gente, agli operai, o ai compagni, o a chiunque, che in qualche maniera potevano sopravvivere se non vivere bene, se fosse stato assunto come obiettivo intero allora avrebbe avuto una qualità di senso molto più alta e comunque confacente alle trasformazioni che il capitale poi ha messo effettivamente in atto nel giro di un decennio, perché le cose non sono mica andate tanto alla lenta, non è che ci abbiano messo cento anni per questo tipo di trasformazioni, lo si chiama postfordismo se si vuole in maniera molto sintetica e poco definita. Per cui io credo che si possa ascrivere al movimento femminista una serie di pregi di analisi che però non sono stati colti, ma probabilmente neanche il femminismo li coglieva nei suoi termini più universali: penso che uno dei difetti del femminismo in questo caso sia stato di pensare di occuparsi di donne quando parlava di queste cose e di non pensare invece di mettere in atto un punto di vista di genere sul mondo, il che era una cosa abbastanza diversa. Però, lì c'è stato proprio un meccanismo secondo me di incomprensione in generale o di non corretta trasmissione e comunicazione di pensiero. In effetti c'è stata quasi una divaricazione, come se in quel periodo la gente fosse il visconte dimezzato, un po' faceva militanza politica nel mondo e un po' faceva la femminista, e i due mondi non si incontravano mai, non c'era mai una possibilità di avere un linguaggio comune anche se con punti di vista diversi: questo linguaggio comune non doveva mica essere omogeneo, ma da punti di vista diversi forse si poteva fare un discorso che secondo me è diventato il vero discorso a partire dalla fine degli anni '80.

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