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INTERVISTA AD ALISA DEL RE - 26 LUGLIO 2000

Quindi, ho fatto questa esperienza che avevo trovato interessante e d'altra parte era l'unica possibile in quella zona perché le forze erano poche, però abbiamo messo in piedi un comitato politico (o un collettivo politico, non mi ricordo più come si chiamasse) che ha funzionato per lungo tempo in queste due fabbriche e con personaggi veramente bravissimi, dei tecnici, degli operai straordinari, la vera intellettualità operaia del periodo. Ciò con questa ipotesi appunto di una forma territoriale di organizzazione che a me piaceva molto e che forse faceva intravedere (ma allora era molto inconsapevole) una lettura del futuro Nord-Est, con fabbriche diffuse, piccole fabbriche, una possibilità di trasformazione dalla grande fabbrica alla microimprenditorialità relativamente indipendente (consentitemi la parola indipendente per non parlare della piccola fabbrica dipendente dalla grande fabbrica). Quindi, questo tipo di organizzazione territoriale a me sembrava estremamente sensato per il territorio e credo che sia per questo poi che ha funzionato, e prendeva quadri (come si diceva allora) di molti paesi intorno a Pordenone, a Conegliano, quadri che poi hanno avuto dei percorsi anche abbastanza lunghi all'interno della sinistra di classe.


Qual è stato il tuo percorso successivo a Potere Operaio?

Quando c'è stato il convegno di Rosolina, in cui Potere Operaio ha perso quella dimensione che a me interessava e hanno vinto strettamente le ipotesi romane di Piperno di trasformazione di Potere Operaio in partito, ha vinto l'ipotesi di organizzazione, a quel punto ero già molto in crisi, ero già percorsa da spinte femministe e lì sono uscita da Potere Operaio, non sono entrata nell'Autonomia Operaia, nel senso che non ci sono entrata formalmente anche se la vicinanza mi pareva evidente. Ho incominciato a costituire i primi gruppi femministi attraverso i quali sono passata e che hanno poi proseguito: l'ho fatto con un discorso legato al recupero di tempo e di dimensione di autonomia all'interno della vita complessiva delle donne. Quindi, io avevo portato avanti un discorso sui servizi sociali e sul recupero del tempo che contrastava in un certo senso con il discorso del salario della Mariarosa Dalla Costa, anche se poi alla fine c'erano molte similitudini: il discorso sul salario della Rosa era forse più "rivoluzionario" ma dalla pratica politica che lei aveva non si capiva a chi e quando lo chiedesse il salario, non aveva nessun senso; dopo di che magari il mio era un discorso molto più riformista però è vero che abbiamo spaccato le scatole a un po' di gente occupando i consigli comunali, facendo costruire degli asili nido, cioè progettando forme di "liberazione dal lavoro domestico" concrete. Fatto sta che erano anche cose che mi servivano al momento visto che mi ero messa a fare dei figli e quindi mi sentivo molto giustificata a chiedere delle cose di cui avevo immediatamente bisogno. Se vogliamo era questa una traslazione delle teorie operaiste di Marghera quando si chiedeva cinquemila lire subito, tutti dicevano "ma questo non è rivoluzionario" e gli operai rispondevano "non sarà rivoluzionario ma le cinquemila lire ci andrebbero anche bene!", allora i soldi erano appunto diversi: quindi così era anche per il discorso degli asili nido, forse non erano rivoluzionari ma io da qualche parte i bambini dovevo pur metterli! Io allora teorizzavo queste cose, le ho teorizzate in "Oltre il lavoro domestico" perché per me sono sensate. Ho vissuto molto a lato il movimento del '77, anche perché ne riconoscevo come interessanti solo gli elementi più marginali: ho partecipato alla creazione di Radio Sherwood qui a Padova perché la radio mi pareva una cosa estremamente sensata, simpatica, intelligente, comunque bisognava trovare altre forme di comunicazione e di circolazione delle informazioni. Mentre invece tutte le forme organizzative messe in atto dai Collettivi Politici qui a Padova più militarizzanti, più impegnate in un militantismo pesante mi piacevano proprio poco; quindi, sicuramente non facevano neanche più parte della mia visione di trasformazione del mondo. Quando siamo stati arrestati una delle cose che a un certo momento ho pensato (a parte il fatto che non riuscivo a capire perché ero stata arrestata io), e non per cattiveria, è che meno male che non abbiamo vinto! Perché francamente alcune ipotesi mi lasciavano perplessa. Poi (ma forse questo avviene più avanti) dopo l'arresto c'è stata una forma di identificazione perché uno, anche se è stato fuori, nel momento in cui è arrestato cosa dice? io non c'entro? lo può dire al giudice per difendersi, ma niente più.

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