Rispetto a questo soggetto donna di cui hai parlato, secondo te quanto è rimasto delle pratiche militanti del movimento femminista, quindi per esempio delle forme di autocoscienza o delle critiche che venivano fatte ai modelli organizzativi?
Il fatto è che quando fai questi discorsi parli di un femminismo che in Italia per esempio è stato di brevissimo periodo, due o tre anni non di più; per quanto riguarda le forme di autocoscienza nel femminismo si tratta di un fatto sostanzialmente elitario, le sedute di autocoscienza sono state poche. Cosa è rimasto di quella critica alle forme organizzative è il fatto che quelle forme organizzative che c'erano allora si sono dissolte, è stata una critica particolarmente efficace se c'è una relazione di causa e effetto, quindi era una critica giusta; che poi il movimento non abbia prodotto forme organizzative alternative perenni mi sembra nell'ordine delle cose. C'è stata una parte che si è istituzionalizzata e ha costruito relazioni con istituzioni locali, tutte queste case delle donne che esistono, magari noi non ce ne accorgiamo perché non le pratichiamo o le pratichiamo poco, però ci sono; che il movimento abbia avuto le forme organizzative più varie è altrettanto vero, perché è falso che non le abbia avute, si pensi ai gruppi, alle riviste, ai centri di documentazione, a forme di espressione politica anche di movimento, come i movimenti contro la guerra ecc. Una cosa più interessante, che mi sembra più moderna e più recente, è la forte partecipazione di donne a movimenti legati al volontariato e in questo senso devo dire che lì c'è un discorso di pratica politica molto legato ai comportamenti femminili, cioè una pratica politica che abbia un risvolto più concreto, che dia segno, diciamo, di sé: quando uno entra nel volontariato e si occupa degli immigrati per esempio, alla sera sa che ha dato da mangiare cinquanta ministre a cinquanta immigrati in una mensa popolare, oppure se si occupa delle prostitute sa che fa parte di un équipe che di notte va in giro a dare i preservativi o a chiedere alle prostitute se hanno bisogno di aiuto, di consigli o cose di questo genere. Quindi, è una pratica politica, ma forse non prettamente femminista nel senso tradizionale del termine, ma sempre praticata da una stragrande maggioranza di donne: io la iscrivo a queste nuove pratiche di donne senza dire femministe, anche perché quando poi si intervistano queste persone si vede che non è che queste siano dame di carità, sono donne con la consapevolezza di esserlo, di occuparsi di donne, c'è anche un oggetto che identifica il loro lavoro e questo mi sembra molto interessante. Questa nuova forma di pratica politica è un misto, si appoggia spesso alle istituzioni perché fanno progetti, chiedono finanziamenti, però si ritaglia uno spazio assolutamente autonomo, spesso di servizio sostitutivo a quello che le istituzioni dovrebbero dare o danno male. Però, ciò viene fatto con una pratica molto sensata rispetto alle politiche delle istituzioni stesse, è legata alla pratica proprio femminile della relazione, che permette a qualsiasi madre di famiglia di organizzare i tempi diversi di una famiglia, i caratteri diversi, gli odi famigliari, di mettere insieme un gruppo sociale che in qualche maniera nella maggior parte dei casi non si uccide nonostante vivano insieme. Questa pratica relazionale diventa secondo me forse un nuovo modo di fare politica e identifica anche fortissimi elementi innovativi: io seguo ormai da qualche anno un'associazione che si chiamava Mimosa (e adesso si chiama Welcome, ha avuto dei problemi interni, comunque non è questa la cosa importante) che è fatta praticamente da donne, poi ci sono un prete e due ragazzi. Le donne sono studentesse di medicina, infermiere, queste formano le équipe notturne e fanno il giro delle prostitute, fanno dei progetti sulla salute per cui s'inventano il fatto di dare i preservativi, poi fanno altre cose, per esempio riescono spesso a tirare fuori le minorenni dal giro, si organizzano con la questura perché loro denuncino gli sfruttatori, per cui la questura le lascia in pace per circa sei mesi, vengono nascoste in case ecc. Quindi, si tratta di problemi rispetto a cui spesse volte io non saprei come muovermi, mentre loro riescono a trovare soluzioni estremamente originali proprie al vivere civile. Si sa che ci sono comitati cittadini (poi voi a Torino dovreste avere delle cose terrificanti in mente) che manifestano contro i travestiti e le prostitute nel loro quartiere: per esempio, nel quartiere qui vicino sono riusciti a convincere i famosi cittadini per bene a forme di mediazione dividendo una strada, cioè facendo arretrare un po' le prostitute ma garantendo loro uno spazio, mettendo d'accordo una situazione che stava esplodendo in guerra civile. In un altro quartiere, invece, le prostitute andavano sempre davanti ad un supermercato e ad una scuola, perché come si sa gli edifici che di giorno sono pieni di gente di notte sono vuoti, andavano lì con i clienti e tutto era sempre pieno di preservativi: allora questo gruppo ha chiesto ai vigili di mettere dei cestini chiusi in modo che le mamme portando la mattina a scuola i bambini trovassero la strada pulita, poi sono andate dalle prostitute per educarle a buttare tutto dentro ai cestini e sono riusciti a creare un minimo di equilibrio e nessuno si è ammazzato in questo quartiere, non ci sono stati linciaggi. Sono sciocchezze di fronte alle grandi cose, però questa è una pratica che le istituzioni non riescono a fare (figurarsi poi qui dove c'è gente che prevede gli sceriffi), che i cittadini non riescono a inventarsi, questi riescono solo ad immaginare delle forme di ribellione; per cui queste strutture fatte da donne sono di fluidificazione dei rapporti dentro la società nel territorio, magari si dirà che in questo senso sono funzionali, nessuno si ribella più, ma l'altra forma di ribellione contro le prostitute mi fa paura, non è che il ribellismo per me sia di per sé eccellente: quindi, credo che questo tipo di pratica politica costituisca un margine di buon senso. Non sono le femministe, però soggettivamente loro sono femministe, anche se sono dentro ad associazioni che non sono necessariamente femminili, si occupano di donne; un altro risvolto che è geniale (per questo io vorrei studiare questo tipo di comportamenti) è il fatto che rispetto alle istituzioni, anche locali, queste persone hanno una conoscenza diretta del terreno, cioè dei soggetti. Per esempio è con loro che io discuto di come si comportano le nigeriane, le albanesi, le rumene, non mi permetterei mai di dire le prostitute perché ogni cultura (non dico ogni etnia perché poi non è che ci siano tante etnie) ha per esempio comportamenti diversi rispetto ai clienti, rispetto ai preservativi, rispetto alla pulizia, rispetto all'aborto stesso, rispetto al fatto di avere un protettore o non averlo, rispetto alla delinquenza, rispetto allo spaccio: quindi, loro hanno una conoscenza che non è cosa da poco. Dunque, chi fa politica in questo caso, l'assessore alla sicurezza o questi gruppi di donne? Chi fa la vera politica? Chi fa i cambiamenti? Chi gestisce comunque un qualcosa di diverso sul territorio? Funzionale o no questo lasciamo perdere. Non lo so, però mi pongo questo tipo di problemi perché ho questo tipo di interessi, più che capire quali sono i gruppi femministi. Io faccio parte della Casa delle Donne, l'abbiamo data praticamente in mano a un gruppo di immigrate che se la gestiscono loro, organizzano un sacco di feste, si divertono molto, poi c'è un gruppo di anziane signore che hanno la biblioteca; noi non ci andiamo più, stiamo bene a casa nostra, perché dobbiamo andare alla Casa delle Donne? E' bene che se la gestiscano loro e mi piace di più vedere cosa fanno queste persone, che però abbiamo invitato a raccontarci le loro esperienze, è così che le ho conosciute, dopodiché non è che loro siano diventate un gruppo femminista, ma fanno un discorso che secondo me è un discorso di genere, in questo caso rispetto alla prostituzione per esempio.
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