>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e militante
(pag. 1)

> Assemblea operai-studenti
(pag. 2)

> La Classe
(pag. 4)

> Avanguardie politiche, militanti, classe
(pag. 6)

> La forza operaia
(pag. 7)

> La soggettività operaia
(pag. 8)

> Spontaneità organizzata
(pag. 9)

> Potere Operaio a Torino
(pag. 9)

> Percorso successivo
(pag. 10)

> Limiti e ricchezze, nodi aperti
(pag. 10)
INTERVISTA A MARIO DALMAVIVA - 19 FEBBRAIO 2001

Tu hai in precedenza detto che hai capito che il mondo stava cambiando o poteva farlo, e questa è stata la molla che ti ha fatto iniziare un percorso politico. Tronti e altri sostengono che alla fine degli anni '60 quel ciclo di lotte operaie che aveva segnato il decennio era in una fase di riflusso. Tronti usa una metafora, dicendo che si fu vittime di un'illusione ottica perché si era visto il rosso, questo effettivamente c'era ma era quello del tramonto e non dell'aurora. Secondo te alla fine degli anni '60 le lotte operaie erano una fase di apertura o di chiusura? Ma ancora prima, che cos'era la classe operaia e cos'erano gli operai in quegli anni (cosa di cui pochi realmente parlano)? E perché era quella forza capace di far pensare che lì si potesse far leva per cambiare il mondo?

Intanto io devo mettere dei limiti al mio giudizio che sono quelli della mia storia personale, il resto sono cose che ho letto: io comincio a fare politica nella seconda metà del '68, quindi parlo più sicuramente delle cose che ho visto che non delle altre. Per quello che ho visto io non sono d'accordo con questo discorso, trovo che è una lettura molto intellettuale delle lotte. Anche alla luce di quello che ho detto, se c'era un tramonto era quello delle avanguardie politiche e non delle lotte operaie. Come si presentano a questo ciclo di lotte le avanguardie politiche degli anni '60? Frantumate, spezzettate, piene di sconfitte, divise, suddivise, di nuovo suddivise, loro sì, non le lotte. E sì che avevano avuto un intuito, ma secondo me se c'è una carenza è nella teoria politica e non nelle lotte operaie, questo per come la vedo io. Siamo arrivati in quattro gatti quando le lotte esplodono e fanno deflagrare tutti gli equilibri precedenti: ma Tronti cosa fa? Entra nel partito, forse è giusto dal suo punto di vista, ma forse doveva farlo dieci anni prima. Non voglio parlare di Tronti, trovo che sia un grande personaggio della sinistra extraparlamentare anche se è entrato nel PCI. Se devo però dare un giudizio a posteriori, io trovo che le avanguardie politiche sono arrivate lì vecchie: la teoria c'era, l'operaio-massa lo si diceva e tutto quanto, ma nessuno ha forse avuto la forza di capire che la rivoluzione era una cosa diversa negli anni '70 in Italia e con il mondo com'era. Io mi sono accorto di quanto aveva assunto la classe operaia in termini di rapporti di potere sociali, non politici, nel decennio successivo, nella seconda metà degli anni '70: in quei 5-6 anni la classe operaia costruisce una forza e un'egemonia sociale che non sbocca poi nella rivoluzione, ma di fronte alla quale tutti i vari personaggi politici che io ho conosciuto, naturalmente me compreso, erano del tutto impreparati. Se si va a prendere i due giornali si vede che Potere Operaio e anche Lotta Continua partono sulla teoria della lotta armata come una via di fuga demenziale che non riconosce più la realtà delle cose che stanno avvenendo in Italia; ovvero, secondo me riconoscono che chi raccoglie in misura adeguata questo movimento operaio di lotte è il sindacato, che la costruzione dei consigli operai vede la presenza dei gruppi in posizione assolutamente marginale e decentrata, e allora se si leggono i giornali di quell'epoca sono pieni veramente di cose demenziali, la lotta armata, la presa del palazzo d'inverno. Noi ne avevamo forse un esempio in piccolo, Oreste Scalzone, che meno contavamo e più gli articoli diventavano inni, ma in Lotta Continua era la stessa cosa in maniere diverse. A parte le Brigate Rosse, le uniche che dicono clandestinità e via dicendo, gli altri teorizzano il doppio livello. Non era possibile, non c'era nessun'altra possibilità, come poi i fatti successivi hanno dimostrato: il sindacato non era un partito, confinato in un ruolo istituzionale che l'aveva portato a raccogliere questa enorme forza, tutta concentrata sulle conquiste di carattere materiale con questa organizzazione formidabile che nessun partito comunista in Italia ha mai avuto, diffusa, capillare e penetrante, e poi succube del partito senza poter dare lo sbocco politico a questa cosa, che il partito conta poi di dare con il movimento operaio sconfitto nel '75 con le elezioni. Queste cose qui, l'alba, il tramonto, non mi convincono; se rileggo Tronti è un piacere, ma poi si deve separare la poesia dal resto, lui affascinava tutti con questo modo di scrivere bellissimo, eccezionale, è un grande scrittore, sintetico, poi asseverativo, ogni frase è un macigno, "Lenin in Inghilterra" ecc.: ma questa cosa qui è molta autocompiaciuta. Se ci ripenso a posteriori ho veramente un unico rimpianto: sono contento di aver fatto il '68, sono contento anche di essere andato in galera, di essermi fatto tutta l'esperienza che ho fatto, ho un unico rimpianto, quello di aver fatto poca politica. Allora non avevo l'intelligenza e la cultura per capirlo, e forse non era possibile farne di più, perché chi è entrato nel PCI non è che abbia fatto più politica, anzi forse ne ha fatta di meno; ma non abbiamo avuto il coraggio di riconoscerlo.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.