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INTERVISTA A MARIO DALMAVIVA - 19 FEBBRAIO 2001

Quindi, in qualche modo furono due concezioni del salario che si confrontavano, ma corrette perché ogni discorso salariale era commisurato al referente, uno del sindacato e l'altro nostro dell'operaio-massa, quindi dell'operaio immigrato e via dicendo. Prima che arrivasse il movimento studentesco noi avevamo già formato l'assemblea studenti-operai, io ricordo che facevamo delle assemblee fuori dalla fabbrica, in un bar vicino alla porta 2, con 50-60-70 operai che uscivano dal turno e con i quali discutevamo quello che era successo per fare il volantino e potere avvisare poi quelli del turno successivo. Quindi, avemmo secondo me questa funzione di rottura rispetto alle cautele e alla composizione del sindacato. Potere Operaio aveva un discorso sul salario che naturalmente era politico e non sindacale, sul salario sganciato dalla produttività e quindi era una leva politica formidabile. Un po' per carattere, per il ruolo, perché ero arrivato prima, presiedevo queste assemblee operaie, e lì mi trovavo, pur con la mia ignoranza politica, su un terreno solido che conoscevo: si parlava di quattrini, si parlava di categorie, si parlava voglio dire di argomenti che conoscevo. Però, eravamo ancora in pochi, crescemmo quando vennero quelli del movimento studentesco, e poi c'erano compagni validi come appunto Viale, Bobbio, Negarville, la Laura Rossi e tutta una serie di altri che non ricordo. Noi riuscimmo a coprire tutte le porte, quindi questo meccanismo molto importante di circolazione dell'informazione che prima con tutte le teorizzazioni di Romano, il Gatto Selvaggio, era affidato al meccanismo di lotta, diventava invece un meccanismo esplicito: c'erano cioè dei referenti esterni che comunicavano all'interno di tutta la fabbrica che cosa era successo, per cui magari le meccaniche se si erano fermate le linee capivano il perché e con quale rivendicazione e viceversa. C'era questo universo, si tenga presente che allora Mirafiori credo che facesse 40.000-50.000 operai. Quindi, tutto questo periodo dell'assemblea studenti-operai serviva a noi per imparare molte cose, avevamo un rapporto molto bello con questi operai, e gli operai crescevano, diventavano da persone, cittadini, li si chiami come si vuole, incazzati quanto bastava perché invece che trovare i bei luoghi del lavoro e del reddito a Torino erano torchiati dentro la fabbrica, sfruttati con affitti da fame, isolati socialmente, perché da buoni piemontesi come sempre non si peritavano di dire "non si affitta a meridionali", però chi affittava faceva loro pagare centinaia di mila lire di affitto, e poi ghettizzatti e le solite storie. Quindi, specie i giovani, forti di un individualismo di chi viveva nei paesi del Sud, senza essere organizzato dalla fabbrica, avevano una grande voglia di combattere, perché vivevano una condizione e di fabbrica e sociale molto difficile, con appunto il sindacato che fondamentalmente si occupava di altro. Dunque, nella discussione, che era sempre il rapporto tra obiettivo, forme di lotta, momento della trattativa (perché anche noi nel nostro estremismo ci rendevamo pure conto che a un certo punto occorreva poi trattare), loro crescevano come avanguardie politiche, questa è l'unica scuola reale, e quindi imparavano le problematiche dell'organizzazione, le problematiche delle forme di lotta e della capacità di resistere come forme di lotta, di come trovare forme di lotta che costassero poco agli operai e molto al padrone, come trovare forme di lotta che squassassero l'organizzazione aziendale, in questo favoriti dalla catena di montaggio che blocca immediatamente. Imparavano quindi i meccanismi di comunicazione e poi le forme di lotta concreta, non solo lo sciopero ma il corteo interno come meccanismo di coinvolgimento e di diffusione dentro la fabbrica, e come modo anche per intimorire i capi, allora quella dei capi era una struttura molto poliziesca. Questo grosso modo avviene nella primavera del '69, che è un anticipo delle forme di lotta. Per un paradosso le prime lotte dure avvengono non dove c'è l'operaio-massa ma dove c'è un operaio professionale e vecchio come alla Lancia, dove ci sono questi 40 giorni di lotta finiti in una sconfitta; ma io avevo sentito già il secondo giorno un cinico sindacalista che diceva "questa lotta ce l'abbiamo in culo adesso", perché lì c'erano anche problemi di una proprietà assenteista, la Lancia mi sembra che fosse stata comprata da Pesenti che se ne disinteressava, non mi ricordo esattamente com'era la storia, ma la Lancia non era ancora la Fiat e c'era un padrone che se ne fotteva. Comunque c'era una classe operaia che era dai 50 anni in su, quindi vecchia classe operaia. Quelli fecero 40 giorni di lotta, nonostante i salari da fame, nonostante appunto il sindacato avesse già decretato la sconfitta com'era partita la lotta. Mi ricordo che un giorno andai alle 8 a megafonare (la lotta non era ancora iniziata) con il solito discorso degli aumenti salariali, mi sembra che allora fossero 50 lire uguali per tutti di aumento della paga oraria. Poi i compagni erano dovuti andare via, chi insegnava chi aveva un altro lavoro, ero rimasto lì io con il mio megafono e percorrevo il perimetro esterno della fabbrica dove c'erano le finestre gridando "unitevi in corteo e uscite": mi sono preso uno spavento bestia perché alle 9 questi qua non sono usciti in corteo? Io non sapevo assolutamente cosa fare, naturalmente hanno trovato me come punto di riferimento, sindacalisti non ce n'erano, e io non sapevo assolutamente cosa fare: ho fatto la cosa più semplice, ho portato il corteo sotto il grattacielo della Lancia. Ma mi è venuto proprio il panico, perché ho detto "ma io adesso cosa faccio?", in quanto ero lontanissimo dal pensare che facessero il corteo interno e poi uscissero. Questa era una parentesi per dire che per strani meccanismi la lotta è scoppiata prima in una zona di vecchia classe operaia, tutti invece speravano che scoppiasse a Mirafiori perché la Lancia era già una classe operaia obsoleta e un marchio obsoleto.

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