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INTERVISTA A MARIO DALMAVIVA - 19 FEBBRAIO 2001
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Qual è stato il tuo percorso successivo?
Il mio percorso è stato legato a Potere Operaio sostanzialmente; quando poi PO è finito ci fu quest'ultimo patetico tentativo di rianimazione ma lo scontro politico e il confronto storico tra le due anime di Potere Operaio, Piperno e Negri, ormai non aveva più senso, il gruppo non aveva più incidenza politica. Io venni nominato segretario a Rosolina, che nella buona sostanza segnò la fine di PO, nel senso che continuò a vivere, nessuno ebbe la forza di chiudere la luce, ma con una diaspora, smembrato e via dicendo, con le sedi sempre più in difficoltà; la mia fu proprio una segreteria fantasma, perché ormai eravamo tutti consapevoli che eravamo stati sconfitti. Nel frattempo su tutta una serie di militanti di Lotta Continua e di Potere Operaio la sconfitta cominciava ad essere trasferita nel discorso lotta armata, fu la genesi di Prima Linea e queste cose qui. Lotta Continua fece ancora il tentativo nel '75 di presentarsi alle elezioni e prese una batosta. Continuammo a fare l'intervento firmandoci, non mi ricordo se nel '75, studenti-operai come molti anni prima, ma la storia era ormai finita. Non era finita la mia attività politica perché io mi ritirai tra il '75 e il '76 a vita privata come si diceva, ma il 7 aprile del '79 fui obbligato a ricominciare a fare politica. Quindi, in pratica per una specie di senso calvinista io continuavo ad andare davanti alle fabbriche per sentire come stavano le cose, ma era una testimonianza, eravamo proprio quattro o cinque persone, fra l'altro era un lavoro inutile perché le notizie filtravano sempre meno e poi fra l'altro nel '74-'75 molte avanguardie si licenziarono. Se si vuole, l'esperienza di formazione di avanguardie di lotta e in parte di avanguardia politica, compresi i quadri dei gruppi, ti portò al fatto che quando passò il processo di ristrutturazione da parte della Fiat, e nello stesso tempo la stretta del sindacato che nei fatti castrò i consigli operai, molti di loro se ne andarono, cioè uscirono dalla fabbrica; stavano nella fabbrica solo fino a quando questa dava loro un ambiente politico in cui muoversi, nel momento in cui la fabbrica tornava ad essere linea di montaggio e fatica ne uscirono. Per cui questa è la mia storia, io praticamente nel '75-'76 cesso di fare politica attiva e poi mi succede questa storia del 7 aprile.
Analizzando retrospettivamente i tuoi percorsi hai individuato diversi limiti delle esperienze politiche in questione. Secondo te quali sono i nodi che nell'oggi e in prospettiva futura rimangono aperti da un punto di vista politico?
Francamente io rischio di dire delle "cazzate" perché sono disabituato alla politica e a un ragionamento di natura politica. Qui sta cambiando tutto sotto i nostri occhi e anche molto rapidamente, e non è la banalità di questa progressiva insignificanza della classe operaia rispetto agli assetti sociali complessivi e delle trasformazioni del sindacato che è sempre più un sindacato di pensionati. Il nodo francamente è che, tranne qualche lavoro in particolare di Sergio, per quello che so io, sul lavoro autonomo, questa nuova composizione di classe sembra sfuggire a tutti i parametri. Ora, non è che abbia le idee chiare in proposito, ma se dovessi dire da dove riparte un filo rosso francamente non mi sembra più che parta dalle fabbriche. Il problema è che non saprei dire da dove parte, e neanche che forma prende: tu parlavi dei comportamenti operai, ma chi sono gli operai oggi? Non gli operai di fabbrica, ma gli operai sociali: e questi operai sociali che comportamenti hanno? E questi nuovi comportamenti come si individuano e come si organizzano? Molte domande, nessuna risposta se non abbiamo gli strumenti per capire una nuova composizione di classe; e non parlo di organizzarla che è un problema di là da venire, ma solo per capirla. Qui ritorna di nuovo il discorso dei comportamenti di classe. Le fabbriche non è che non ci siano più, ci sono ancora naturalmente, però fra l'operaio sociale di oggi e l'operaio di fabbrica di oggi c'è qualche legame, c'è qualche rapporto? Non lo so, non ne ho idea, sarei già contento se leggessi (e qualche volta mi capita, ma di rado) delle cose intelligenti in proposito. Ma mi sembra che ci sia tutta l'attenzione spostata sul capitale, sul mercato, e sono delle emerite "stronzate", mentre sono pochi e discontinui i tentativi nell'altro senso. Anche questo discorso della conoscenza sociale o come diceva il nostro amico il general intellect, che cos'è oggi? Come si riappropria questo operaio sociale? Io sono a volte esterrefatto, la conoscenza intesa appunto come general intellect è cresciuta enormemente, la produttività è cresciuta enormemente, e invece siamo ancora ai catorci politici di una volta che consentono una distribuzione di ricchezza paradossale, è incredibile. C'è qualche piccolo e insignificante tentativo del sindacato di grattarne via un po', di salvaguardare qualche cosa delle conquiste, ma niente in confronto a quello che è successo negli anni '80 e '90. Qual è la forma di nuovo che può affrontare il problema della distribuzione sociale della ricchezza? A questo discorso del rifiuto del lavoro, geniale intuizione che vive nei comportamenti dei giovani, ma come autoemarginazione e non come conquista politica, come dai di nuovo un senso? Sono pieno di interrogativi, queste sono le cose di cui bisognerebbe discutere, chi se ne frega di Casini, Buttiglione e Rutelli? Quelle sono storie altre dalle nostre.
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