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INTERVISTA A DARIO CORBELLA - 21 FEBBRAIO 2000


Giustamente diceva Romano Prodi che loro con mezzi democratici e pacifici sono riusciti a realizzare quello che Hitler non era riuscito a fare con la guerra: l'Europa unita è una realtà, bene o male sotto l'insegna del marco, apparentemente senza bisogno di guerre. Poi, in realtà, le guerre ci sono state: si pensi alla guerra del Golfo per certi versi, la guerra del Kosovo è stata dettata dalle tappe dell'unificazione europea, la guerra in Cecenia e quelle provocate dal disfacimento dell'impero russo sono comunque all'interno di questo quadro di ricomposizione dell'imperialismo. In questa situazione alle avanguardie di classe si pone sicuramente un nodo grosso, perché ormai parlare di forma-stato non ha più molto senso, quindi non ha nessun senso parlare dell'intervento a livello nazionale: o oggi cerchiamo di essere all'interno di queste dinamiche quanto meno europee, oppure si è oggettivamente tagliati fuori. Dunque, ci scontriamo con questa grossa realtà che è il polo imperialista europeo che si pone sul palcoscenico del mondo con una moneta unica, una politica tendenzialmente unica, un esercito che nel Kosovo ha cominciato a forgiarsi e che si dà strumenti sempre più di unificazione (adesso abbiamo visto che stanno lanciando il progetto di un aereo da trasporto truppe completamente europeo): da questo punto di vista sicuramente ci saranno momenti di attrito, di frizione e di scontro con l'imperialismo nord-americano. Ciò lo abbiamo visto anche a Seattle: io, per esempio, non credo molto al fatto che il vertice del Wto sia fallito per le manifestazioni e l'opposizione dell'antagonismo. Leggevo, ad esempio, un fondo di Ignacio Ramonet su Le Monde Diplomatique in cui, secondo me, lui sovrastima questo dato, dicendo che finalmente la società civile e i movimenti di opposizione hanno bloccato il Wto. A mio parere, invece, Seattle è un primo esempio proprio di come l'imperialismo europeo si contrapponga all'imperialismo nord-americano, in quanto ha i suoi tempi, i suoi ritmi e i suoi interessi da mettere in campo. Ad esempio, sul terreno della guerra e del settore dell'armamento gli europei vogliono marciare ad una loro reale autonomia, per cui hanno il loro aereo caccia-bombardiere, quello di trasporto truppe; gli Stati Uniti continuano a proporsi come leader su questo terreno, gli europei vogliono sviluppare le loro tecnologia anche nel campo delle comunicazioni satellitari, per cui c'è tutta la missilistica, il progetto Aviano e via dicendo. In questo senso, ad esempio, l'irruzione sulla scena della Cina nel prossimo decennio sarà fondamentale: il fatto che il Wto a Seattle si sia bloccato dipende anche da questo, perché la Cina deve entrare e lo fa con le sue potenzialità.
Da questo punto di vista purtroppo noi, inteso come classe e avanguardie di classe, scontiamo un ritardo drammatico. Nel '91 con la guerra dell'Iraq abbiamo assistito anche ad un movimento contro la guerra abbastanza numeroso; già nel caso della guerra del Kosovo siamo stati abbastanza assenti, tutto sommato. Questo forse perché essa ci ha trovato impreparati, o forse perché in una fase di profonda ristrutturazione, oppure perché magari non ci si aspettava che un governo di centro-sinistra operasse su un terreno così tipicamente da centro-destra: se una guerra di quel tipo l'avessero fatta Berlusconi o Fini ci sarebbe sembrato più naturale, invece questa cosa pone più problemi per lo svilupparsi di un'opposizione di classe. Il ruolo del sindacato confederale sicuramente ha giocato da freno per lo svilupparsi di un'opposizione operaia alla guerra. Sono tutti passaggi da superare nel tempo.


Tuttavia negli ambiti antagonisti, pur con tutti i limiti, l'analisi e il giudizio sulla sinistra istituzionale (dal PCI negli anni '60-'70 ai DS e simili oggi) sono da molto tempo tali da non lasciare molti margini di dubbio circa il suo ruolo e le sue funzioni. Non pensi, dunque, che i problemi stiano nei limiti soggettivi della costruzione di una progettualità e di una proposta politica a livello antagonista?

Fino a che, però, la maturazione di questi argomenti appartiene a piccoli gruppi e settori e non riesce a diventare patrimonio della classe rimane un discorso limitato. Io, ad esempio, lavoro in una piccola fabbrica, dove siamo in 22 nella litografia che stampa più 14 nella cartotecnica che fa lavori di assemblaggio, e mi sono trovato a scontrarmi con questa contraddizione: da una parte la consapevolezza che il sindacato confederale ha precise progettualità socialdemocratiche di connivenza con gli interessi della borghesia nazionale, però, d'altra parte, ci si misura con il fatto che almeno quel sindacato nella piccola fabbrica e in alcune realtà comunque è un momento di tenuta su certi discorsi di diritti.

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