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INTERVISTA A DARIO CORBELLA - 21 FEBBRAIO 2000


Forse eravamo molto idealisti e poco teorici. Io, oggi, vorrei ripartire più con il piede della teoria, dell'analisi, del dotarmi di strumenti di comprensione reale che di ricerca di scorciatoie. Ad esempio, leggendo nella prefazione del documento queste tre righe di Tronti, ne capisco il senso ma non lo condivido: comprendo che umanamente uno debba stare dalla parte di chi vuole agire piuttosto che di quelli che dicono che, dal momento che non succederà niente, tanto vale starsene a casa a vedere la televisione; però l'agire non vuol dire illudersi che ci siano scorciatoie. Non è che se noi decidiamo che domani scoppia tutto e il vecchio mondo crollerà, esso poi crolli davvero: mi sembra che, ripartire su questo terreno, significhi ripartire ancora sul terreno della soggettività più che della classe. Secondo me, non ci sono scorciatoie: io credo che i teorici del marxismo, cioè Marx ed Engels, e Lenin, nell'applicazione delle teorie marxiste, ci abbiano insegnato qualcosa. Allora, o veramente noi cerchiamo di capire le dinamiche, per esempio, della classe e, al suo interno, della ricomposizione, il livello del dominio del capitale e la maturazione del grado dello scontro, oppure facciamo ancora una volta dei percorsi più idealistici che politici e più soggettivi che collettivi. Per cui io non sto né con quelli che dicono che domani scoppia tutto, perché non è vero, né con quelli che dicono che per cinquant'anni non succederà niente ed è meglio starsene a casa: anche se non scoppia tutto comunque c'è da fare un grosso lavoro di studio, di lettura, di comprensione, anche di radicamento, di costruzione di quadri che, nel momento in cui le contraddizioni davvero scoppieranno, siano pronti ad agire come avanguardie della classe. Invece, per quello che vedo, c'è ancora molta soggettività e molta approssimazione nell'affrontare le questioni: o, almeno, questo è quello che ho visto in questi anni per quel poco che ho fatto, poi magari ci sono collettivi di compagni che lavorano benissimo e si muovono in modo corretto, però mi sembra che ci sia ancora troppa approssimazione, troppa poca preparazione politica per affrontare le questioni.


IL CAPITALE
analisi delle trasformazioni e dei nuovi modelli di produzione e di accumulazione capitalistici
analisi tendenziale di tali forme
forme di dominio e sue trasformazioni anche legate all'ambito politico istituzionale.

Io diffido molto delle analisi che pongono troppo l'accento sul nuovo. Negli anni '80 e '90 sembrava che la classe fosse sparita, che gli operai non esistessero più, che ci fossero nuove figure e nuovi livelli dello sfruttamento: a me sembra che ci sia poco di nuovo. Ovviamente, ci sono state delle grosse trasformazioni all'interno della classe e del tessuto produttivo: basta guardare alla realtà milanese, dove oggi grosse fabbriche non ce ne sono più, mentre gli anni '70 erano i tempi della Pirelli, della Breda, della Falck, dell'Alfa Romeo, fabbriche che oggi sono state espulse da Milano. Possiamo dire abbastanza tranquillamente che nel Nord Italia non ci sono più grosse fabbriche, anche Torino non credo che ormai possa definirsi un grande polo industriale. Da questo punto di vista c'è una relativa novità, però non credo comunque che ci sia una qualità diversa dello sfruttamento capitalistico, oppure che ci sia una novità sostanziale che provochi una cesura con quello che c'è stato prima. Marx ne "Il capitale" già analizzava la fase matura del capitalismo in cui predomina, ad esempio, il capitale finanziario rispetto a quello produttivo, la stessa cosa quando Lenin scrive dell'imperialismo come fase matura del capitalismo: diciamo che si stanno verificando queste situazioni, per cui il capitale diventa sempre più capitale internazionale, multinazionale, diventa capitale finanziario che ormai non ha più i confini dello stato; la produzione si sta dislocando a livello mondiale e globale, quella che banalmente si chiama globalizzazione ma che, ripeto, già Marx, Engels e poi Lenin avevano analizzato come l'imperialismo che sussume tutto il mondo nel suo modo di produzione capitalistico. Da questo punto di vista, per esempio, dall'89 in avanti, dal famoso crollo del muro di Berlino, una grossa novità e un dato sicuramente interessante politicamente sono l'unificazione europea, il fatto, cioè, che l'imperialismo europeo si pone nel mondo come polo imperialista con una volontà ben precisa di contrastare e di prendere la scena.

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