Sempre Ferruccio ha parlato della tenuta, di fronte alla repressione e al carcere, dei militanti della provincia arrestati, mentre, per quanto riguarda quelli di Milano, c'è stato un crollo quasi totale; da qui si sono addirittura configurati dei teoremi giudiziari che, sovradimensionando notevolmente quella che era la realtà dei fatti, hanno disegnato un livello di forza del Coordinamento Autonomo delle province di Varese e di Como capace addirittura di ricostruire e far ripartire un progetto organizzato anche nella metropoli. Quali sono state, secondo te, i motivi di questa tenuta?
Secondo me è stata una tenuta sostanzialmente soggettiva: derivava certamente anche da rapporti collettivi di fiducia e di rispetto reciproco, però non è che essa dimostri un particolare livello di preparazione o di organizzazione molto superiore.
Secondo te, che ruolo ha avuto il documento dei 51 nell'area dell'Autonomia?
Io non riesco a dare dei giudizi, mi viene difficile entrare nel merito. Nel momento in cui il movimento comunque è stato sconfitto perché era partito con il piede sbagliato, tutto il resto è venuto un po' di conseguenza. L'immaturità del movimento provoca poi l'immaturità soggettiva, il crollo soggettivo, la dissociazione, il pentimento. Io allora l'ho vissuto abbastanza da esterno: secondo me quello dei 51 era comunque un documento di dissociazione, però era abbastanza comprensibile che soggetti che non avevano scelto la lotta armata o, quanto meno, quel tipo di lotta armata imposta dalle Brigate Rosse, tentassero di tirarsi fuori. L'errore stava a monte, per cui mi viene difficile dare un giudizio nel merito, era già una storia finita. E' certo che sarebbe stato meglio una soluzione collettiva che non svendesse una storia e una prospettiva di ripresa futura; però, a quel punto lì, c'era probabilmente poco da fare.
L'analisi dei limiti e delle ricchezze che hai fatto rispetto al percorso dell'Autonomia, quanto può essere utile nel mutatissimo contesto odierno?
Io in questi mesi sto rivedendo la mia storia personale e credo che mi abbia, ad esempio, insegnato il fatto che le forzature soggettive non pagano mai. Noi, probabilmente, abbiamo vissuto la dialettica tra avanguardia e massa in modo molto autoreferenziale: ci ritenevamo avanguardie di una massa ma, in realtà, eravamo molto separati e non riuscivamo invece a leggere le reali dinamiche sociali e di scomposizione della classe. Io, tutto sommato, penso ancora che l'avanguardia abbia una funzione: non credo che finché le masse non si muoveranno non potrà succedere niente, ma ritengo anche che o questa funzione di avanguardia è supportata da una capacità di analisi, teorica, di lettura delle dinamiche e degli avvenimenti oppure diventa un agire, più che da avanguardia, da settore separato. Questo è, secondo me, un errore fondamentale che abbiamo commesso. Io, rispetto all'oggi, sento personalmente la necessità di approfondire questi strumenti teorici. Sicuramente altri compagni saranno stati più preparati di me, comunque noi facevamo tutta una serie di riferimenti teorici al marxismo, al leninismo, alla rivoluzione bolscevica, ma erano più parole d'ordine e slogan che comprensione e assimilazione reale di quelle teorie. Forse l'1-2% di tutti i compagni che si dichiaravano marxisti avranno letto "Il capitale" o altri lavori fondamentali; ci dichiaravamo tutti leninisti, ma chi avrà mai letto le opere di Lenin? Eravamo una minoranza. Secondo me, invece, sono fondamentali la preparazione teorica, lo studio, il lavorare veramente, ancor prima che sulla pratica, sugli strumenti teorici di comprensione della realtà, senza scorciatoie e illusioni. Noi tutti, più o meno, facevamo riferimento alla classe operaia, ma pochissimi avevano esperienza di lavoro in fabbrica, di lavoro sindacale, pochi erano reali avanguardie di classe; molti, invece, facevano riferimenti un po' idealistici.
|