Secondo me c'è molta ideologia nel dire che oggi l'informatizzazione pervade tutta la società, salvo che poi, come abbiamo visto anche recentemente al vertice di Lisbona, saltano fuori i dati secondo cui in Italia è una percentuale minima quella delle famiglie medie che hanno il computer o navigano su internet; e allora i governi europei si pongono il problema dell'informatizzazione della società, perché essa in realtà non è avvenuta. Le cose che le avanguardie di classe possono e vogliono dire alla classe, si possono dire benissimo anche prescindendo da internet o dagli strumenti della tecnologia moderna, non ne vedo questa particolare importanza. Anche perché poi le dinamiche reali, quelle sociali, interpersonali, di lotta, sono sempre comunque fisiche, non possono essere virtuali. Penso, per esempio, all'Esercito Zapatista o a Marcos che utilizzano il mezzo di internet per riuscire a mettersi in contatto con gli studenti nordamericani, o con quelli europei, o con i lavoratori dell'Alfa Romeo: indubbiamente come cosa è interessante, dà uno strumento in più, dopo di che nella Selva Lacandona ci sono loro e intorno ci sta l'esercito messicano, da lì non si sfugge. In tempo reale puoi venire a sapere cosa sta succedendo, dopo di che, però, tu sei qua e loro sono là; e allora lì si gioca ancora di nuovo tutto sui rapporti di forza, le strategie internazionali, la corretta analisi dei rapporti di classe e via dicendo. E internet può anche aiutare, ma io non credo che sia uno strumento molto più efficace di quelli che avevamo già.
Cosa ne pensi dello strumento dell'inchiesta, parola che molto spesso viene usata, ma poca ne viene fatta e ancor meno ci si intende sui suoi significati?
E' uno strumento sempre utilissimo. Al di là delle mode, io penso che chiunque faccia politica, bene o male, nel piccolo o nel grande, opera una forma di inchiesta: nel momento in cui io mi approccio, ad esempio, ai miei compagni di lavoro per capire che disponibilità hanno alla lotta, al dibattito, all'approfondimento teorico, già nel mio piccolo opero un'inchiesta, nel senso che analizzo una realtà e, per farlo, devo in qualche modo studiare, e l'inchiesta è uno strumento di studio. Se poi l'inchiesta, intesa come si intendeva negli anni '70, è usata bene, è anche uno strumento di intervento politico, nel senso che nel momento in cui ti metti in relazione con altri soggetti, con altri proletari o con operai in una fabbrica, già ponendo quelle domande e studiando quella realtà interagisci con essa. E' un po' come nella fisica moderna: dalla teoria dei quanti in avanti si dice che non c'è più un esperimento assolutamente perfetto in sé, perché nel momento in cui si analizza il comportamento di una particella già se ne modifica il comportamento stesso. Io penso che l'inchiesta abbia la stessa funzione.
Se tu dovessi segnalare dei libri e degli autori da leggere e altri da non leggere, chi indicheresti e perché?
Come dicevo all'inizio dell'intervista, io sto riavvicinandomi molto ai classici del marxismo e del leninismo. Credo che quelli non siano mai letti abbastanza e che invece li abbiamo dati molto per scontati, nel senso che magari uno li leggeva, spiegava agli altri e tutti pensavamo di aver capito il capitale. Rileggere i classici del marxismo può sembrare una sciocchezza, uno può chiedersi il significato che abbia nel 2000; secondo me, invece, è molto utile per capire anche quello che sta succedendo oggi e per capire l'attualità sia delle analisi fatte da Marx e da Engels, sia anche proprio il metodo di analisi, sempre basato sulla dialettica e sul materialismo dialettico. Io penso che rileggere i classici non sia mai abbastanza.
Ti viene invece in mente qualcuno che, in questo senso, non indicheresti?
No, non credo che da questo punto di vista sia possibile evidenziare un soggetto o una corrente di pensiero.
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