Il tutto si chiude poi nell'80 quando vado all'estero, lascio l'università, perdo anche il posto, sto in Germania due anni e lì trasferisco parte della mia attività sulle riviste tedesche o nelle attività dei compagni tedeschi. A Brema lavoro con l'organizzazione dei disoccupati, con gruppi sindacali alternativi al sindacato, riprendo i rapporti con Karl Heinz Roth, scrivo su Autonomie. Quando Roth costituisce la Fondazione d'Amburgo di Storia Sociale (l'Hamburger Institut) praticamente scrivo quasi solo per loro, quindi c'è un grosso periodo di collaborazione e anche di produzione che non è mai stata tradotta in italiano. Quando torno in Italia, nell'84, riprendo i rapporti con Moroni, entro un po' nelle sue attività che diventano interessanti quando mette in piedi Conchetta; organizzo una serie di attività dentro Conchetta con Primo e in questo modo apro un dialogo con il movimento dei centri sociali. C'è poi un tentativo di riprendere di nuovo un ragionamento politico, Quaderni Piacentini erano chiusi, Primo Maggio stava per morire, gli ultimi numeri credo che fossero dell'86, Sapere era finito.
Riprendo il tentativo di rimettere in piedi una rivista dopo la prima guerra del Golfo, nasce Altreragioni. Chiamo a raccolta vecchi compagni di Quaderni Piacentini, Franco Fortini, Edoarda Masi, alcuni compagni di Primo Maggio come Primo Moroni, Bruno Cartosio, Pier Paolo Poggio, Lapo Berti, altri di potop come Ferruccio Gambino, altri ancora di Sapere come Giovanni Cesareo, figure come Michele Ranchetti. Mi aiuta Giovanna Procacci, che poi prenderà in mano con Gambino la rivista. Sono gli anni in cui stringo una specie di sodalizio con Franco Fortini. Su Altreragioni - titolo inventato da Fortini - espongo per la prima volta le mie ipotesi sul lavoro autonomo e il postfordismo. Ci muoviamo tra l'ambiente dei valdesi e quello dei centri sociali. Le riunioni si fanno alla Libreria Claudiana o in Conchetta, da dove la tematica del postfordismo viene rilanciata in tutto il circuito dei centri sociali. Altreragioni mette a fuoco il problema del revisionismo storico, sul quale apriamo un altro fronte di battaglia culturale, in stretto contatto con Karl Heinz Roth. E' da qui che nasce la mia ultima ricerca storica, Nazismo e classe operaia. Dopo l'esperienza di Altreragioni - chiusa dopo una fragorosa litigata con Valerio Marchetti - c'è la LUMHI (Libera Università di Milano e del suo Hinterland "Franco Fortini"), forse tra queste due cose c'è qualcos'altro, ricordo le cose vecchie e quelle recenti le ho dimenticate o rimosse! Sicuramente c'è l'amicizia con il direttore dell'istituto Goethe di Milano, un grande organizzatore di cultura, che ha dato vita e intelligenza a questa città morta, un uomo schietto, un grande studioso della cultura araba in Europa. A quei tempi la Repubblica federale tedesca era rappresentata a Milano da un console come Steinkuehler, un uomo colto, un diplomatico-storico, che stava nel Kuratorium della Fondazione di Roth.
LUMHI è stata la cosa più interessante degli ultimi anni, è stato il più grande fallimento della mia vita ma anche la cosa che aveva dentro di sé, rispetto al vecchio operaismo, le potenzialità più grosse, c'era questo discorso del lavoro autonomo. Penso che sia stata veramente la porta per uscire dalla storia dell'operaismo tradizionale: questa storia io la vedo che nasce alla metà degli anni '50 con i primi gruppi, prosegue con i Quaderni Rossi e Classe Operaia, entra nella vicenda '68-'69, nella storia della Fiat, si protende su tutti gli anni '70, poi c'è la sconfitta alla Fiat, nell'80, poi ci sono le grandi ristrutturazioni nelle fabbriche italiane, la repressione, l'ondata di arresti, Potere Operaio come nemico numero uno della storia. La storia operaia più o meno si conclude alla metà degli anni '80, e con la storia operaia si conclude la parabola dell'operaismo (in un certo senso la fanno rivivere come fantasma proprio il 7 aprile e la stagione giudiziaria e carceraria che segue). Dopo di che c'è il vuoto, questi movimenti dei centri sociali sono una cosa molto bella, sulla quale l'operaismo gioca un ruolo semplicemente di memoria, ma non dispongono di un saldo discorso teorico. Immodestamente penso che il tentativo di dare un nuovo orizzonte teorico al tema della composizione di classe lo si ha solo con questo discorso sul lavoro autonomo. E lì avviene appunto la rottura totale con tutto e con tutti, sia con i centri sociali che preferiscono fare il discorso sulla proletarizzazione o sulla precarizzazione, sia con Il Manifesto, sia con l'ambiente della sinistra sindacale, dei cobas, dei rifondatori. Insomma rifiuto la cittadinanza di questo ambiente, mi sento un apolide. Se dovessi ancora fare politica, comincerei col scrivere un "Manifesto degli apolidi".
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