Naturalmente negli Anni '60 un'esperienza per me fondamentale è stata la partecipazione al progetto dei Quaderni Piacentini e l'incontro con due persone straordinarie come Grazia Cherchi e Piergiorgio Bellocchio. Non ricordo bene come li abbia conosciuti, se sia stato Fortini il tramite o qualcun altro. Loro comunque erano molto amici di amici di Panzieri; Bellocchio deve aver anche partecipato a qualche riunione dei Quaderni Rossi. Mi hanno contattato come esperto di storia tedesca, un genere abbastanza raro e apprezzato nella Sinistra di allora. Infatti i miei primi lavori sulla rivista riguardano proprio la storia del movimento operaio tedesco. La presenza in Quaderni Piacentini mi diede naturalmente accesso a un pubblico molto più vasto dei gruppi operaisti, se non sbaglio io sono stato l'unico di questa corrente di pensiero a scriverci. Decisi di pubblicarvi articoli di sfondo teorico, il primo dei quali fu scritto con Ciafaloni sul problema dei tecnici (l'esperienza alla Olivetti aveva lasciato tracce). Ma poi l'articolo che fece storia fu quello sul maggio francese. Ma non anticipiamo troppo i tempi.
Dopo la rottura nei Quaderni Rossi ho fatto tutta l'esperienza di Classe Operaia e nel '67, quando l'abbiamo smessa, non ho aderito a Contropiano, ma ho continuato a tenere in piedi questo gruppetto di Classe Operaia che si era costituito a Milano, lavorando o tentando un rapporto con la Fiat e con Torino. I contatti con i veneti continuavano, un giorno Toni capitò a casa mia, in via Giuriati 11 a Milano, con un certo Cacciari. Nell'autunno del '67 tenemmo il famoso seminario nel quale presentai il lavoro sui consigli operai in Germania che sarebbe stato pubblicato, assieme ad altre relazioni del seminario, rielaborate, nel libro "Operai e Stato", edito da Feltrinelli nel '72. Un seminario importane se non altro perché lanciò la mia idea dell'"operaio massa". Nel '66 avevo cominciato a insegnare a Trento, come supplente di Umberto Segre, lì ho avuto un ruolo nella formazione di questo movimento trentino che, nel momento in cui è scoppiato ed esploso nel '68, ha invece avuto nei miei confronti un atteggiamento di rigetto, per cui mi ha trattato come qualunque altro docente. Il fatto è che a quel punto lì io ero già orientato sull'Università di Padova, perché mi era stato procurato da Toni un posto di assistente nel suo istituto. Nel '68 abbiamo giocato le nostre carte operaiste dentro il movimento antiautoritario studentesco. Si è costituita quindi tutta una rete di Classe Operaia arricchita dei contatti con il movimento studentesco romano che Toni aveva costruito; io ho rimesso in piedi tutta la rete milanese, poi molte delle persone chiave che hanno determinato quello che abbiamo fatto nel '69 li avevo conosciuti a Trento. Insegnando a Trento, avevo finito per avere pessimi rapporti con il giro di Rostagno, Boato e tutti questi, ma ottimi rapporti con gli studenti-lavoratori, che poi non frequentavano ma seguivano attivamente quel che succedeva dalle loro residenze. Che io fossi un punto di riferimento tra i docenti lo sapevano tutti. Quindi, il nucleo che poi intervenne alla Fiat nel maggio del '69, cioè il gruppo di Dalmaviva e altri, era tutto composto da studenti-lavoratori di Trento che io avevo conosciuto e incontrato lì, più tutto il gruppo dei tecnici della Snam Progetti, con i quali abbiamo fatto un opuscolo per Linea di Massa e che sono ancora in pista sostanzialmente.
Trento per me è stata indubbiamente un'esperienza di grande importanza proprio per la possibilità di stabilire rapporti e di reclutare la parte migliore del movimento. Non è che adesso voglia fare polemica con il movimento studentesco trentino, ma gli studenti-lavoratori avevano un'altra impostazione, avevano un altro taglio, un altro atteggiamento, fortemente orientato al lavoro sociale o al lavoro di fabbrica o al lavoro di quartiere, e non avevano i grilli per la testa di alta politica tipici degli altri: erano proprio due razze diverse. Quindi, da qui è nata La Classe: io ho fatto l'editoriale del primo numero che era appunto il dire "ragazzi, cominciamo subito direttamente dal colpo grosso, dal bersaglio grosso, puntiamo alla Fiat, è inutile che stiamo qua a girarci intorno". E se vogliamo quella è stata l'azione più importante che ho fatto, cioè di essere riuscito a mettere insieme un gruppo dal nulla e quasi da solo, con l'aiuto di questi compagni torinesi e di altri compagni un po' del vecchio giro di Classe Operaia, c'erano i comaschi, i lodigiani, c'era insomma un po' questo giro attorno a Milano che Classe Operaia aveva sedimentato, e abbiamo messo un detonatore alla rabbia degli operai Fiat, sì da farla esplodere. I primi volantini alla Fiat materialmente li abbiamo scritti Dalmaviva ed io ("la lotta continua", diceva il primo, da cui ha preso il nome l'organizzazione di Sofri), quindi sono partiti questi 15 giorni di primi scioperi gestiti direttamente da Dalmaviva e dal suo gruppo che non erano neanche capaci a gestirli, e che speravano che l'organizzazione La Classe desse loro una mano e invece non gliel'ha data, nessuno si muoveva. Poi alla fine ha cominciato a venir giù qualche veneto, è venuto Emilio Vesce a dare man forte, ma di fatto loro si aspettavano una struttura: io avevo loro promesso o fatto credere che La Classe fosse una struttura, una mini-organizzazione in grado di dare manforte. Non li avevo ingannati, la verità è che la struttura del gruppo non la conoscevo bene neanch'io.
|