Nei Quaderni Rossi io stavo più che altro ad ascoltare, a imparare, non avevo né l'esperienza né il profilo tali da poter partecipare attivamente alle discussioni, facevo manovalanza, andavo a distribuire i volantini, facevo ciò che era necessario ma alle riunioni non ho portato nessun contributo mio particolare. Credo di aver fatto un solo lavoro per i Quaderni Rossi, era una cosa su Brecht che fu fatta con Franco Fortini, si trattava dell'intervento di Brecht al congresso degli scrittori del '35, credo di averlo tradotto io, non mi ricordo esattamente ma penso di sì. Mettevo a loro disposizione la mia conoscenza della storia tedesca, nel '61 mi ero laureato e poi subito dopo avevo mollato le tematiche della mia tesi, che erano l'opposizione religiosa al nazismo, ero passato ad occuparmi di storia del movimento operaio e stavo preparando un primo lavoro sulla resistenza tedesca. Nel settembre del '61 ho iniziato a lavorare a quest'opera, prima presso la Biblioteca dell'Istituto Feltrinelli, poi in Germania, in particolare alla Humboldt di Berlino Est; era il dicembre 1961, quattro mesi dopo la costruzione del Muro. La città che ricordavo festosa e rilassata due anni prima era diventata un Lager; ne ebbi un tale trauma che non ci misi più piede sino al 1983. Nel '63 il libro sulla resistenza tedesca al nazismo era pronto ma la casa editrice fallì prima che andasse in bozze, quindi niente da fare. Ne avevo una sola copia, scritta con la Olivetti Lettera 22. Non cercai un altro editore, ero troppo demoralizzato, sicché il libro rimase nel cassetto; era la prima opera organica di uno storico italiano sulla resistenza tedesca. Più volte pensai di riprenderlo in mano, alfine invecchiò. Alla metà degli Anni '70 Giancarlo Buonfino mi chiese il manoscritto perché stava preparando il suo libro su Weimar. Subito dopo iniziarono i suoi disturbi psichici, che lo avrebbero portato al suicidio nel 1980. Non ho più avuto coraggio di chiedere ai familiari la restituzione del mio manoscritto. Comunque, gli anni dal settembre del 1961 al dicembre 1963 sono stati il periodo in cui ho cominciato a lavorare parecchio sulla storia politica tedesca, la resistenza, la storia dei comunisti, degli anarchici, del movimento operaio, dei consigli operai tedeschi, erano un po' queste le cose che trasmettevo ai compagni dei Quaderni Rossi. Però, direi che non ho svolto un ruolo né dirigente né di rilievo all'interno dei Quaderni Rossi, ero lì a imparare il linguaggio, a imparare la storia. Loro quasi tutti venivano da famiglie o da esperienze comuniste o socialiste, io avevo fatto solo un po' di politica universitaria. Poi dopo, quando nel '63 c'è stata la rottura, quando Panzieri non ha più voluto continuare, ho aderito al gruppo che avrebbe fondato Classe Operaia con Negri, Tronti, Asor Rosa, Alquati ecc. Ecco, qui invece svolsi un ruolo abbastanza attivo, l'editoriale del secondo numero l'ho scritto io, lì ho scritto parecchio, magari con pseudonimo perché avevo già incominciato a lavorare in azienda. Ci entrai perché coi lavoretti editoriali non riuscivo a campare. Fu un'esperienza importante anche se la vita di azienda non mi andava. Fui assunto alla Direzione Pubblicità e Stampa della Olivetti, che allora aveva sede in via Clerici a Milano. Era l'ufficio nel quale la memoria di Adriano Olivetti era più viva, quella che era stata la sua segretaria personale lavorava nella segreteria del direttore. Allora l'Olivetti era all'avanguardia in Europa per la grafica e la pubblicità, lo sarebbe stata anche nel design. Ci lavoravano intellettuali d'eccezione. Franco Fortini se n'era appena andato ma manteneva un rapporto di consulenza, Giovanni Giudici era rimasto e strinsi con lui un rapporto di amicizia. Durante la pausa del pranzo scriveva le sue poesie e me le faceva leggere. Aveva la fortuna di lavorare con grafici d'eccezione, come Pintori e Bonfanti. Lui scriveva i testi, faceva il copy writer per la linea delle macchine da scrivere e da calcolo. Io facevo il suo stesso mestiere, ma per i calcolatori elettronici. L'Olivetti stava muovendo i primi passi nell'informatica e mi trovai a dover inventare slogan per quel baraccone che era l'Elea. Bene o male però scrivemmo la storia dell'advertising europeo. Me ne andai spontaneamente dopo esser stato trasferito due volte per indisciplina o disadattamento. Fu un'esperienza importante - Romano se lo ricorda perché venne a trovarmi nell'ufficio di via Baracchini a Milano - perché mi permise di conoscere da vicino la realtà di fabbrica (dovevo per ragioni d'ufficio visitare tutte le aziende dove erano installati i nostri calcolatori e dove venivano prodotte le nostre macchine). Nascono da questa esperienza certi articoli su Classe Operaia firmati grottescamente Sergio Trieste (una trovata brillante di Toni che ogni volta che ci pensava scoppiava nella sua risata satanica).
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