>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale e figure di riferimento
(pag. 1)

> Limiti e ricchezze, nodi aperti
(pag. 7)

> I "numi tutelari"
(pag. 9)

> Il "poligono" dell'operaismo
(pag. 9)

> Gaspare De Caro
(pag. 9)

> Il nodo della cultura
(pag. 10)

> Formazione di un'intellettualità di massa
(pag. 11)

> La politica e il politico
(pag. 12)

> Irreversibilità dei rapporti di forza?
(pag. 14)

> Dimensione internazionale dell'operaismo
(pag. 15)

> L'attuale situazione politica in Germania
(pag. 15)
INTERVISTA A SERGIO BOLOGNA - 21 FEBBRAIO 2001


Quando ho ricostruito l'analisi sociologica sul lavoro autonomo, per esempio, ho scoperto un'altra faccia nascosta di Weimar che anticipa di cinquant'anni i discorsi recenti. Ci siamo sempre lasciati guidare dal cliché del paese che rimane isolato dal fordismo, che prolunga la fase pre-fordista sino all'avvento di Hitler. Invece è un paese postfordista, un sistema di microimprese, di subappalti, di precarietà, di sistemi a rete. E qui il comunismo in effetti fu un velo che rese ciechi, di un operaismo di maniera. Hanno capito meglio questa realtà i sociologi del versante cristiano-sociale di quelli del versante marxista. Oppure quelli con reminiscenze anarchiche. Leggere gli scritti di Lederer sulla condizione socialpsichica del presente produce una grande impressione, perché è alla stessa altezza della Secessione austriaca nella formulazione del paradigma del Moderno. Non c'è stato nessun paese europeo - nemmeno l'America del 29 - a subire la miseria come il proletariato weimariano. Dimentichiamo che sulla Germania, dall'inizio del secolo, si abbatté un'ondata di emigrazione dai paesi dell'est senza precedenti, che ridusse le metropoli a livelli analoghi delle grandi agglomerazioni sudamericane di oggi. Gran parte passò via e andò oltreoceano ma non dimentichiamo che la pelle bianca negli Stati Uniti, a parte le componenti irlandesi e fiamminghe, l'hanno portata i tedeschi. E' una deformazione professionale, la mia, di certo. Cominciai a bazzicare la cultura tedesca dal ginnasio, quando delle vicine di casa, le signorine Sacher, sì, Sacher come la torta, che abitavano due piani sotto di noi a Trieste, mi diedero le prime lezioni di tedesco. Ma quando pubblicai la mia tesi di laurea sulla Bekennende Kirche, quando tradussi Bonhoeffer, nel '67, non avevo ancora chiaro quale fosse il filone cui agganciare l'operaismo italiano. Voglio dire che nel periodo di Classe Operaia non avevamo corrispondenti in Germania. L'"altra Germania" cui siamo stati legati fino ad oggi nasce con il '68. E rivaluta subito Weimar. Ma Dutschke passa via in fretta, senza vederci. E' Proletarische Front il vero tramite con i radicali tedeschi che continua in parte sino ad oggi. E sono gli Anni '80 quelli in cui i miei rapporti con i neue soziale Bewegungen si fanno più intensi, sono questi gli anni in cui si sprigiona la grande energia innovativa di una middle class che poi si spegne nell'ondata un po' sciovinista della riunificazione ed infine riafferma la sua volontà egemonica alla metà degli Anni '90, quando Kohl è travolto da "Mani Pulite", e si aggancia al carro di Schroeder e di Joschka Fischer. Roth è sempre stato molto critico verso questa middle class, rimproverando ogni tanto la mia ingenuità; ha sempre ritenuto che negli "alternativi" si celasse un profondo conservatorismo. Penso che abbia avuto ragione. Per quanto riguarda invece i gruppi dell'Autonomia, ho perso i contatti da troppo tempo. E' pur sempre una generazione che ha le radici nel '68. Continuano a leggere con molta attenzione le cose che si scrivono in Italia. Nessun rapporto ho avuto invece con movimenti e gruppi politici nella ex DDR, mi dicono che persino il PDS abbia una base sociale di grande interesse e Gysi è un politico di grande spessore e forse il più brillante oratore del Parlamento tedesco, è uno spirito giacobino, assai poco comunista. Diciamo pure che mi è interessata di più l'innovazione invisibile in questi anni. Solo gli imbecilli di casa nostra possono dire che la Germania è un paese immobile, tradizionalista, incapace di adattarsi alla fantasia della new economy, incapace di riforme e quindi "inceppato". La Germania è il paese dell'innovazione invisibile ma poiché come marketing è un disastro, vende di se stessa il cliché che le hanno cucito addosso. Che vuol dire innovazione invisibile? Vuol dire che non è solo innovazione tecnologica o del business, è innovazione dei rapporti sociali, del modo di vivere, del modo di prendere le decisioni, è vedere problemi dove altri non li vedono e cercare di risolverli. Insomma noi siamo succubi del paradigma tecnologico-scientifico quando parliamo di innovazione, mentre l'innovazione che conta è quella nella gestione dei rapporti sociali, è l'innovazione nell'amministrazione pubblica, è l'innovazione nel pensiero politico. Ma alla tua domanda iniziale, è vero o no che oggi in Germania nell'area radical c'è molta frammentazione, no, non so rispondervi, da troppo tempo guardo altrove, da troppo tempo non ho né cerco dei contatti con quell'ambiente. Sono un apolide e non ho problemi di fidelity, né geografici, né ideologici.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.