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INTERVISTA A SERGIO BOLOGNA - 21 FEBBRAIO 2001


Tuttavia però, al tempo stesso, l'operaismo è longevo, detto meglio, è una tecnica che ha dimostrato molto meno obsolescenza di altre, è un sistema di pensiero che ti consente di attraversare molte stagioni e di comprendere molti linguaggi diversi. Gli altri hanno fatto fini miserevoli, non è che questo sia consolante. Ogni tanto ci penso e mi chiedo se sia un caso che in quel poco che c'è nelle generazioni successive la memoria dell'operaismo sia forse la sola rimasta del retaggio Anni '70. Chi si ricorda di Lotta Continua, se non la politica e la cultura ufficiali? Ci sarà ben una ragione se trent'anni dopo l'operaismo riesce ancora a parlare ai giovani.


Quello che dicevi tu prima è sicuramente vero, anche andando a guadare su Internet si vede che a livello internazionale, dalla Spagna agli Stati Uniti all'Australia, c'è una notevole attenzione e un grosso dibattito sull'operaismo, per alcuni versi addirittura più che in Italia.

Certe volte penso che quella di Potere Operaio sia stata una storia tragica, forse più di altre, poi in realtà a guardare quella di altri gruppi c'è da cambiare idea. Si pensi a questi che hanno fatto le grandi carriere nel sistema della comunicazione, noi avremo avuto i nostri Fioroni, d'accordo, ma insomma non abbiamo avuto nessun figlio di puttana che ha gestito una rete televisiva! Anche la vicenda di Sofri per certi aspetti è quasi più dilacerante che quella del 7 aprile, quando si pensa a Gasparazzo-Marino. Alla fine degli anni '70 uno guardava alla propria storia con una certa tristezza e magari pensava più di una volta di aver sbagliato tutto. Oggi più vado avanti e più divento indulgente con la mia storia, più sono portato a fare il paragone con la situazione di oggi, con questi giovani rincoglioniti di shopping e di telefonini. E' un fatto che l'operaismo non è scomparso dalla memoria di quei segmenti delle generazioni successive che continuano a non volersi lasciar omologare. All'estero non vanno dimenticati i paesi di nuova industrializzazione che in vent'anni hanno dovuto bruciare le tappe di una storia del movimento operaio che da noi è durata cento anni. Pensiamo alla Corea, per esempio, o all'Argentina. In questi paesi la novità della lotta operaia di fabbrica, che rappresenta una dimensione recente del conflitto, porta a riscoprire l'operaismo. Io ho tirato i remi in barca da qualche anno, però ancora di recente ho fatto delle esperienze in Messico piuttosto che in Austria che mi hanno fatto percepire il grande interesse che c'è in giro per il mondo ancora per la nostra storia. Molto ha voluto dire il rapporto con i radical americani e quando i tuoi libri circolano nel paese egemone, circolano dappertutto. Se andate a consultare i cataloghi della Public Library di New York trovate più titoli miei di quanti ce ne sono alla Sormani di Milano. Eppure ho scritto davvero poco, se uno toglie gli articoli di rivista. Molto ha voluto dire il circuito universitario. Quando i tuoi testi finiscono nella Biblioteca di un'Università, cioè in un sistema di vasi comunicanti, oggi reso velocissimo da internet, fai presto a essere conosciuto. E questo per uno come me, che non ama essere italiano, aver più amici ed estimatori all'estero che non in questo fottutissimo paese, è una grande consolazione.
Ma quel che nessuno dice e che noi siamo troppo "spompati" per dire, è che il paradigma operaista sarebbe oggi più applicabile che mai: pensa a come sta insieme il ciclo produttivo postfordista; è un susseguirsi di catene di subfornitura, collegate tra loro in maniera virtuale dai linguaggi del computer, in maniera reale dal sistema dei trasporti e dai lavoratori di questo sistema. Se si fermano loro si ferma tutto. Hanno fatto tanto per creare un modello di accumulazione labour saving e son finiti nella trappola di un modello transport intensive. Ci fosse in giro un Hoffa con lo spirito di Lenin, accoppiato a un paio di buoni hacker, altro che talebani!


Dal momento che tu conosci bene anche quella realtà, com'è la situazione in Germania? Anche lì sembra esserci una frammentazione forte.

Non si può parlare della Germania in due parole. Per quanto critico sia oggi verso l'esperienza del comunismo, quello tedesco ha avuto peculiarità che non possono essere dimenticate e per le quali, come si vede da "Nazismo e classe operaia", ho sempre provato interesse, rispetto e partecipazione emotiva. La repubblica di Weimar è stata un periodo drammatico ma ho sempre pensato, a differenza della lettura canonica, che sia stata un periodo di politica "estrema", dove l'utopia e la speranza, l'ambizione e la tensione, sono state portate al massimo. Purtroppo se ne conoscono solo alcuni aspetti, ormai ridotti a cliché, però davvero sono l'unico momento del Novecento in cui ritrovo qualcosa degli Anni '70, nel bene e nel male.

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