Il discorso è diverso. Si pensi ad una figura come Asor Rosa, ad esempio, alla sua concezione della cultura e della figura dell'intellettuale, questo poi anche al di là delle collocazioni successive.
Sono state due scelte opposte, Asor Rosa ha fatto una scelta baronale, tradizionale, in certi casi criticata pesantemente anche nell'ambiente tradizionale accademico. E credo che più di uno del giro romano l'abbia fatto. Ma Toni è stato un barone di ben altro genere, diciamocelo chiaramente. Io l'ho sempre pensato, mi son portato dietro la convinzione che è finito in galera quasi più per queste ragioni che per altre implicazioni. L'accanimento contro di lui è un tipico accanimento accademico, baronale, universitario, che passava tra i professori di diritto ed arrivava ai magistrati. Il problema è un altro: c'è una differenza fondamentale tra chi, pur avendo avuto un ruolo importante nel primo operaismo - come Asor Rosa - poi non ha ritenuto di dover orientare le sue scelte intellettuali in base a quella teoria, né nel "senso" del suo agire né nel metodo del suo pensiero. Ha chiuso precocemente il suo pensare operaista. C'è chi invece è rimasto attaccato a certe ipotesi tutta la vita ed ha condotto tutta la sua attività di ricerca e riflessione sotto il segno di quel demone che si era impadronito di lui agli inizi degli anni '60. Come Luciano Ferrari Bravo, tanto per citare un nome. Nel primo caso, anche padri fondatori dell'operaismo si sono poi avviati verso una strada di banale accademismo, nel secondo caso c'è gente che ha mantenuto la tensione morale e intellettuale tutta la vita. Tendo a pensare che gli operaisti siano gente del secondo tipo e siano gli unici, nella storia italiana recente, ad aver tentato di costruire un pensiero politico diverso da quello comunista, quindi diverso dallo schema dell'intellettuale organico, che dice di essere organico alla classe, in realtà è organico solo al partito.
Soprattutto all'inizio degli anni '70 è avvenuta un qualcosa di particolare: c'è stato un vertice di poche persone che ha dato teoricamente la direzione, sotto di esso si è formata un'intellettualità di massa che ha potuto funzionare in maniera molto produttiva e proficua perché sotto c'era la committenza che era quella del movimento e delle lotte. Ed è stata una cosa unica, mentre negli anni '60 questo era un modellino più piccolo, nel senso che comunque funzionava più su un discorso di tendenza, negli anni '70 si è dato proprio un sapere altro, contro, che era prodotto da una direzione di teoria politica precisa e dal fatto di essere riusciti a mettere al lavoro intellettualmente e politicamente un grosso strato di persone. E' per esempio il discorso che Romano ha fatto su "Università di ceto medio".
C'è una grossa differenza: mentre negli anni '60 questa produzione era quasi autoreferenziale, si faceva una produzione teorica in assenza di movimenti, la produzione teorica degli anni '70 di fatto era anche una mediazione, e certe volte poteva essere anche un impoverimento di una ricchezza reale di movimento, ed era quella la cosa straordinaria. Quindi, se vogliamo, ciò che fa la differenza è la capacità maggiore o minore del suo ceto intellettuale di riuscire a cogliere di quel movimento tutta la ricchezza. Secondo me non è mai riuscito a coglierla del tutto, cioè il movimento era molto più ricco, forte, la differenza probabilmente è questa. Era quindi molto più facile fare gli intellettuali negli anni '70, perché sostanzialmente avevi di fronte a te una tale ricchezza di comportamenti eversivi, di fantasie ribelli, di desideri d'innovazione ecc., che in fin dei conti il tuo compito era quello di formalizzare un po' le cose. Invece, negli anni '60 dovevi inventare quali fossero o dovessero essere questi comportamenti, cioè era invenzione pura. Comunque, tutto sommato la cosa ha funzionato.
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