L’ERBA VOGLIO


Periodicità: bimestrale
Formato: 21x28
Milano 1971-1977
Numeri editi: 22
Diffusione nazionale (soprattutto Nord Italia).


II senso della rivista e dei libri «L'erba voglio» può essere dato, nel modo più semplice, indicando il modo in cui rivista e libri ebbero origine. Nello stesso tempo, si troverà anche indicato il senso di ciò che è stato poi denominato «il '68!, o uno dei suoi sensi principali, entro il quale si sono svolti alcuni anni della storia italiana.
All'inizio del '71 uscì presso Einaudi il libro collettivo «L'erba voglio», raccolta di varie e differenti esperienze educative nell'ambito soprattutto degli asili, della scuola elementare e di quella media.
Esso collegava e commentava i materiali di lavoro che erano stati presentati a un convegno svoltosi a Milano l'anno prima. Il libro conobbe un grande successo (oltre cinquantamila copie vendute, cinque ristampe). Ma non fu questa l'origine della rivista.
L'origine fu in un modesto cartoncino, inserito astutamente nel libro stesso, che gli interessati ai lavori esposti nel libro erano pregati di rimandare a un indirizzo prestabilito.
Nel giro di pochi mesi, arrivarono migliaia di risposte da tutta Italia e anche dall'estero, un numero tale da stupire gli esperti di marketing e da creare nello stesso tempo notevoli perplessità negli ideatori dell'iniziativa.
Che cosa si poteva fare per stabilire un reale contatto con queste migliaia di persone sparse in tutto il paese?
La risposta fu la rivista «L'erba voglio», bimestrale uscito abbastanza puntualmente dal luglio '71 (cioè pochi mesi dopo l'uscita del libro) fino all'autunno '77.
Che cosa si vuoi dire con questo? Si vuoi dire che «L'erba voglio» è stata essenzialmente il tentativo, proseguito per anni, di stabilire un collettivo flessibile, modesto ma reale, fondato sullo scambio e la interrogazione di esperienze individuali e comuni, escludendo sin da principio l'uso e l'idealizzazione di capi, di strutture o di parole d'ordine.
Senza quindi costituire una nuova pseudo-religione laica, come se ne sono via via costituite a centinaia nell'epoca moderna.
E sottoponendo l'invitabile fioritura immaginaria di ogni periodo di mutamento al controllo più preciso e articolato. E dando voce e consistenza ai modi di oltrepassamento effettivo del già dato, del già noto e approvato. A testimonianza di ciò, bastano i sommari dei trenta numeri della rivista e i titoli della ventina di libri usciti.
Si può dire senza vanteria che chi vorrà cercare e scandagliare la corrente principale delle idee e dei progetti del decennio '70 dovrà necessariamente ricorrere a quei fogli.
Perché ora «L'erba voglio» non circola più? Sin dal febbraio '77 la rivista scriveva: «Il nostro tipo di lavoro ci sembra oggi concluso, e per vari ordini di ragioni.
In primo luogo, la distinzione stessa di molti temi, che all'inizio sembravano secondari o "controrivoluzionari", rende ora necessario un lavoro rinnovato per non cadere nella ripetizione, di ciò che noi stessi abbiamo fatto sin qui e che, nella ripetizione, rischierebbe di ridursi, a parola d'ordine, a ritualismo, se non addirittura a slogan (si pensi, tanto per fare un esempio, a come spesso viene usato "il personale è politico"). Abbiamo tutti la percezione che un periodo è finito ...
In questa fase la crisi delle organizzazioni partitiche che in sé era inevitabile, ed è salutare,- rischia di trascinare con sé nel disorientamento e nella sfiducia larghi strati di giovani che in questi ultimi anni sono rimasti presi dentro un tipo di "militanza" alienante quanto quella dei partiti tradizionali».
Di lì a poco, quel «disorientamento» e quella «militanza alienante» sarebbero sfociati negli «anni di piombo» della guerra interna tra stato e terrorismo, chiudendo quasi ogni spazio di azione autonoma.