II « Sacro » profanato

« La filosofia, in quanto potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto da sola superare la teologia. Lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipate le nubi religiose in cui gli uomini avevano messo i loro propri poteri staccati da sé: le ha solo legate a una base terrestre. Così,

è la vita più terrestre che diventa opaca e irrespirabile. Essa non rigetta più in cielo, ma alberga in sé la ricusazione assoluta, il suo fallace paradiso. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell’esilio dei poteri umani in un al di là; la scissione completa all’interno del-

l’uomo. »

G. Debord, « La société du spectacle »

tratto da apocalisse e rivoluzione - Giorgio Cesarano - Gianni Collu : ed. Dedalo libri- Bari,1973       (aforismi 28/42 : pp 43-52)  


28.

Il sacro è la memoria alienata del senso vivo, il fantasma della corporeità del senso come essenza vivente, lo spettro disincarnato del corpo perduto come istante e come destino.

29.

Il sacro è il senso promesso alla soggettività che non conosce di sé se non la fame di senso, ma il sacro è un falso oggetto di questa stessa soggettività, ne è il prodotto alienato e autonomizzato, intanto che ne è lo statuto e la costituzione.

30.

Accanto alla protesi-utensile, lo smarrimento degli uomini dinanzi alla totalità organica sentita come enigma terrifico, ha materializzato fin dal principio l’escrescenza della protesi-feticcio. Alla pretesa di significare tutto, che il mondo degli utensili e il loro codice normativo (il mondo della lingua quale medium-fissatore d’ogni modo di produzione) rivendicavano fondandosi come il pensiero operativo — idolatria della prassi trascesa dal gesto naturale all’acribia ripetitiva del dover-essere — tutto l’altro che l’intelligenza sensoria dei corpi, non ancora desensibilizzati, non ancora del tutto de-erotizzati, avvertivano come irrisolto, tutto l’altro troppo più spazioso del raggio d’azione dello strumento, troppo più semplice della meccanica in azione e troppo più complesso del « suo » pensiero meccanizzato, rispondeva con la fascinazione del « sacro ». La magia tratteneva al mondo dei primitivi tutto ciò che la tecnologia vi andava ciecamente fugando.

31.

La temperie squisitamente emotiva, « erotica », disinteressata, in cui il sacro si manifestava (ierofanie) come potenza della forza universale (cratofanie) pervade di pathos i modi in cui il sacro, l’immediato « sentimento » dell’enigma, l’intuizione panica della totalità e del suo mistèro perduto insieme con la perdita della corporeità totale, insieme con l’uscita dal regno animale e con il costituirsi della specie quale comunità dei corpi combinati, viene «praticato ». Nell’approccio primitivo al sacro, nel mondo dei feticci e dei rituali magici, la separazione coatta tra percezione emotiva, corporeamente « organica », e realizzazione sociale («espressione », « comunicazione», dunque condivisione) vede scindersi immediatamente senso vivo e senso morto. L’apparizione del sacro è, sotto ogni aspetto, pura avventura dell’essere. È appercezione estatica del mistero (la vita dell’universo organico quale mistero, alterità consustanziale, nesso inspiegato ma certo tra soggettività corporea e soggettività intercorporea) e in quanto tale è teoria pratica, intuizione  in sé esaustiva dell’assoluta essenza in cui ogni essere è. Nel feticcio — utensile sui generis — e nel rituale — modo di produzione sui generis — il sacro è evocato, attivamente perseguito: potenzialmente riconosciuto. Feticci e rituali riproducono le condizioni in cui il sacro (ieroianie, cratofanie) si è manifestato. Essi non sono per sé sacri: sono i presupposti teleologici della sacralità. Al di là della speculazione storicistica attorno al primato cronologico o strutturale della magia sulla religione, si da qui per inteso che la sfera della magia si limita alla pratica delle condizioni e dei presupposti della sacralità, senza sacralizzare gli strumenti di cui si serve, che restano per sé profani, ma non giungono ad essere, per ciò, profananti.

32.

La dialettica sacro-profano, non è della magia. La magia è operativa, e accosta semplicemente, per affinità d’efficacia, il feticcio all’utensile1. Se il fare che fa capo all’utensile è il regno del profano (quando e finché lo è), è profano non altrimenti che nel suo campirsi al di sotto della sacralità. Ma non le è antitetico. Di fatto, la sacralità può apparire, nella sfera degli utensili, e può investirli del ruolo supplettivo di feticci. L’immaginazione simbolica surcarica di efficacia i feticci più di quanto non investa gli utensili: l’efficacia prammatica degli utensili condensa su di sé un « valore » simbolico sulla base della sua economia operante. Ma proprio in quanto la sacralità è lo spazio di mistero lasciato vuoto dall’economia operante, e che le è immediatamente complementare, il travaso del sacro sul profano è ancora un evento del probabile, né drammatico né contraddittorio.

33.

Mentre alla superbia semplicistica degli strumenti si affianca l’umiltà « bricoleuse », ma densa di tutta l’angoscia irrisolta, dei feticci surcaricati dall’immaginazione simbolica, tutto, nella combinazione corpo-protesi, avvia il dominio del simbolo sul gesto: universo degli utensili e universo dei feticci s’istituiscono fin dal principio l’uno come il complemento dell’altro. Ma mentre il pensiero operativo si illude di bruciare nell’efficacia ogni resto di mistero, condensando nello strumento la potenza del gesto risolutore, il pensiero magico dimette immediatamente l’efficacia meccanica, e mediando nell’oggetto tutto il potere dell’irrisolto, fonde l’efficacia con la fede, si postula come l’efficacia delle potenze superiori.

34.

Di qui in avanti, la tecnologia presta alla magia il trucco collaudato dell’oggettivazione, la magia presta alla tecnologia la fede collaudata nell’oggetto-simbolo. Il « valore » è già, nell’universo composito dei simboli, « lavoro » in processo. Negli oggetti-simboli (e nelle parole che li fissano come modi di produzione del senso), si addensa già senso morto, saper-essere convertito in dover-essere. La vita è già « lavorata », il corpo già ingabbiato in griglie di significazione coatta, l’esperienza organica viva è già intubata nel processo di valorizzazione dell’inorganico, la comunità è già integrata allo strumentario i corpi vivi, al pari della natura viva, cui si rapportano per seppellite corrispondenze, sono già materia bruta, propellente, forza estrattiva, energia catturata per essere convertita in « ‘lavoro ». Essere è già valorizzare.

35.

L’investitura di « valore » nel feticcio che si fa simbolo, mentre sacralizza i feticci e il rituale per sé, allontana il sacro dall’esperienza estatica, dalla sfera dell’avventura emotivamente corporale, singolare, «vissuta»: campisce il sacro nel « celeste », nell’uranico e nell’iperuranico; assolutizzandolo, lo congela nella categoria astratta della sacralità inattingibile in sé, di cui feticci e rituali sono le statiche epifanie consacrate. Dalle ierofanie e dalle cratofanie immediate, o ri-chiamate da feticci e rituali messi in campo come presupposti attributivi, il passaggio alla ierocrazia (il potere del sacro), e alla gerarchia del sacro, è segnato dalla valorizzazione della liturgia. È il passaggio dalla magia alla religione: dall’avventura estatica all’ordinamento statico (rigido, sistematico) della fede in una normativa che scorpora i simboli dalla loro intimità « onto-fanica » col sacro, e li assume come idola, astratte personificazioni del sacro. La religione è rivelata, e la rivelazione è subita dalla fede. La religione è ordinamento e gerarchia, ripetizione rituale, obbedienza operazionale in senso strettamente normativo (religio = religo), lampante superfetazione dei modi di produzione nel loro assetto iterativo, conservativo, immobilistico, ancorché ogni religione includa, esplicitamente o implicitamente, un principio dinamico nell’attesa o del messia o del giudizio, ma un principio dinamico sempre, rispetto al vivente « profano », elusivo, o apocalittico: perdente la corporeità. Ogni religione è una teoria dell’apocalisse.

36.

Gli dei sono i padroni. La rivelazione è autoritaria, imperativa e normativa; la loro volontà è legge, la fede è sudditanza e dovere. Il sacrificio è tributo, e nel sacrificio è già implicito lo scambio prestazione/sopravvivenza. La dialettica sacro-profano avvia già un processo che, secolarizzando ogni vissuto come tale da un lato, e sollevando al di là della vita terrena il sacro e il suo « valore » dall’altro lato, fonda i presupposti per una profanazione sempre più integrale della vita, e nello stesso tempo per una sacralizzazione sempre più astrattizzata del suo « valore »: la dialettica profana della civiltà mercantile ha nelle prime spartizioni della sacralità dalla vita i suoi fondamenti in nuce.

37.

La « teoria » dimenticata dai culti2 è, tout-court, il senso vivo, cioè la teoria vera e propria. Il rituale autonomizzato, che ha «dimenticato » la propria teoria, è la pratica ideologica: il profano per eccellenza. Ideologia è profanazione.

38.

L’intuizione della cultura alchimistica medievale (Bacone, ecc.) coglie nella magia l’aspetto attivo, conoscitivo e operazionale: lo « spirito » di conquista, mediante una tecnica sui generis, dell’incognito e dell’enigmatico ad opera di sperimentatori audaci, che non subiscono la rivelazione, ma agiscono empiricamente, armati della loro volontà, sull’enigma, affinché si schiuda e si riveli, allacciando così de facto l’animus della magia a quello della scienza, di cui indubitabilmente l’ideologia alchimistica è la matrice. Il perdurare dell’ideologia « magica» nella cultura tardo -medievale (la pseudo-eresia tollerata) è l’opzione di riserva che l’assiomatica religiosa conserva al proprio futuro aggiornamento. L’aggiornamento vincente della religione lo opererà il capi-tale, profanando definitivamente ogni sfera del sacro con la sacralità tutta « secolare » del suo valore.

39.

La tradizione esoterica, l’eresia gnostico-ermetica o « alta magia », corre invece al di sotto e contro tutta la cultura del passato e conserva delle pratiche magiche (soprattutto la «magia del sesso») l’aspetto operativo nel senso della realizzazione della potenza attraverso la fine di tutte le separazioni (cfr. i «vangeli» gnostici). La passione, l’avventura, la «vera guerra», quella per l’affermazione al più alto grado della propria forza latente, della propria « deità », ne sono le caratterizzazioni fondamentali. La letteratura medievale della passione con le sue « aventures », ne cantò pubblicamente, in modo ambiguo, il senso più riposto e autentico; l’« avventura » è sempre quella del sesso (vis sexualis, vera forza cosmica) ed ogni vera prassi non può non esservi ricondotta. I « Fratelli del libero spirito » (eresia adamitica) furono in questo senso la realizzazione effettiva di tutto quanto si trovava celato nella letteratura della passione e della « cavalleria».

40.

La religione è magia transcresciuta, ma non questo soltanto. È anche tecnologia transcresciuta dal pensiero operativo al pensiero speculativo. Nella religione, la povertà bricoleuse del feticcio, il suo alludere a un sistema intuito fuori di sé ed evocato per associazioni « infantili », « innocenti », lascia il posto all’astuzia della ragione. Il principio d’efficacia sempre meno concede spazio alla pura fede e sempre più s’affida alla meccanica della logica formale. La religione respinge da sé l’improvvisazione immaginifica e ancora « naturale » mentre tende ad integrare a sé quel sistema di sensi occulti che la magia s’accontentava d’evocare, intuito fuori di sé. La religione è sistematica, si organizza per incastri di operazioni logiche rigidamente formalizzate. Cause e effetti trascendenti sempre più ripetono, astrattizzato, il disegno della leva e del fulcro, della ruota e della pompa. Se l’« oggetto » della religione permane fuori di sé, se risulta chiaro che è l'« oggetto » incatturabile per eccellenza (il mistero dell’essere, il punto di vista auto-riflessivo della totalità in processo), la religione crede di risolvere ogni mistero istituzionalizzando la « misteriosità » del suo oggetto, facendosi produzione organizzata del senso del mistero.

41.

Per tutto il tempo in cui resta ai modi di produzione tanto spazio intorno a sé, e tanto spazio all' interno di sé (nello spessore della vita dei corpi, non ancora intieramente colonizzata alla sopravvivenza contro la vita), la religione occupa virtualmente ogni spazio piantandovi i simboli della sacralità del mistero. È così che ogni nuovo modo di produzione - ogni necessario sacrificio, alle esigenze della sopravvivenza, di un organizzazione della protesi scaduta al di sotto della sua funzionalità - trova nella religione il ponte sul quale la conservazione dei valori del senso morto accumulato nella stona, tra passa impregiudicato in ogni nuova società. Ma a mano a mano che i modi di produzione della comunità corporata si complicano al loro interno, attingendo sempre più nel profondo della corporeità organica le energie che alimentano la meccanica sociale, cresce sul processo un « suo » pensiero sempre più egemone, produttore del senso della certezza acquisita, che a grado a grado toglie terreno alla produzione del senso del mistero L’ideologia della scienza tende a rimpiazzare 1' ideologia religiosa. Non importa che dimostri di non saper scongiurare definitivamente l’errore: una specie tanto cieca sa di non poter procedere che per prova ed errore; finché non abbia conquistato tutto il sapere possibile su una natura che le è muta, è disposta ad accettare 1' errore come sua propria seconda natura.  La scienza è1’istituzionalizzazione  dell’errore più improbabile.

42.

Dall’allusività onnicomprensiva del feticcio-pensiero e della sua simbologia (ma il pensiero verbalizzato è sempre il simbolo estratto da una coerenza sensoria alienata, ogni parola è un divieto ad altro) non si mutua soltanto un di più di senso utile a valorizzare il pensiero-utensile, il pensiero operativo. Se la religione è la rete,la griglia della logica formale, predisposta a catturare in sé ogni resto del mistero del mondo avvertito come l’esteriorità inspiegata , a quel senso di mistero corrisponde un vuoto d’interiorità inspiegata che la razionalità globalizzante dei modi di produzione, ferramente coerente al principio di oggettivazione, non può trascurare di estrarre dall’informe irrelato, non può astenersi dal formalizzare. L’arte ne è la specifica realizzazione. L’arte sacralizza le forme, mentre formalizza la sacralità interiorizzata. Come la religione è la forma che l’inspiegato astante assume precipitando sul terreno della valorizzazione, così l’arte è la forma che l’inspiegato in- stante, il « resto » dell’essere che dall’interno della corporeità non si spiega nell’esserci della corporeità strumentata, assume affiorando alla superficie dei modi di produzione. L’estetico, è la cicatrice del «bello», cioè del totalmente significante in sé, estirpato alla vita. Ma immediatamente, questa che scaturisce quale mediazione tra il senso vivo strumentato e il senso vivo irrelato, tra il dover essere corpi prigionieri dei modi di produzione e il voler essere della vita corpo liberato, si fissa in specchio del valore, che gli si modella. Nella pittura egizia come nella scultura greca non tanto l’immaginazione mette in forma i modelli degli dei, quanto statuisce le forme cui ciò che manca agli uomini deve modellarsi, per valere quale preghiera esaudita all’intierezza: ogni simbolo mente sull’essenza. Se l’economia politica (ogni scienza, nel suo ruolo di progettazione prammatica, è dell’economia politica in progresso) mente spacciandosi per la dimensione del tutto, se la religione mente spacciandosi per l’anticipazione del senso di tutto, l’arte mente spacciandosi per quanto manca al tutto: quanto gli manca per essere vero. Consacrando la verosimiglianza, l’arte occulta il vuoto da cui nasce. È così che, rimandandosi luna verso l’altra la verifica, in chiave commutata, dei valori; retroagendo l’una sulle matrici dell’altra; scambiandosi ruoli e doveri, le tre sfere del « pensiero » socializzato riescono a comporre, in una fantasmagoria di dislocazioni concatenate e a spese dell’unitaria prigionia dell’essere, l’apparenza della totalità in movimento, l’intierezza fittizia di un ciclo in processo. Il pool delle attività alienate inalbera l’insegna della Vita dell’Uomo


1Cfr. M.Mauss, Teoria generale della magia ed altri saggi, Einaudi.

2 Cfr. M. Elide, Trattato di storia delle religioni, p.228 Boringhieri.

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