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Archivio per il tag: migranti

Dichiarazione al tribunale di Bolzano

L’11 settembre c’è stata l’udienza contro alcuni attivisti che avevano partecipato alla manifestazione svoltasi il 7 maggio 2016 al Brennero, lungo la frontiera con l’Austria, per protestare contro le decisioni del governo di Vienna di erigere lungo la linea di confine reti e filo spinato. Durante la manifestazione si sono vissuti diversi momenti di tensione con violenti scontri con le forze dell’ordine mentre cercavano di sgomberare i presidi che bloccavano prima la ferrovia Italia-Austria, poi l’autostrada A22. Il reato di cui sono accusati gli indagati in questo processo è quello tristemente noto, sin dall’epoca fascista, di “devastazione e saccheggio”. Esprimiamo la massima solidarietà agli indagati e a tutti coloro che lottano contro lager e frontiere.

Dichiarazione davanti al tribunale di Bolzano

Ogni giorno il sistema delle frontiere stritola migliaia di persone. Quello che sta succedendo fra Siria e Turchia, fra Turchia e Grecia, nell’arcipelago dell’Egeo, al confine fra Bosnia e Croazia, nei campi di detenzione in Libia, nel Mediterraneo conferma che i muri e la caccia al povero sono il volto del nostro presente. Mentre le merci viaggiano liberamente da una parte all’altra del pianeta, gli esseri umani sono spietatamente suddivisi tra chi può passare i confini e chi no: tra i sommersi e i salvati, per riprendere le parole di Primo Levi. Prima un ordine economico – devastante nella sua logica di guerra e sempre più saccheggiatore di materie prime, ecosistemi e autosufficienza alimentare – apparecchia le condizioni per cui milioni di donne e di uomini sono costretti ad abbandonare le terre in cui sono nati e cresciuti; poi un gigantesco apparato di filo spinato, sorveglianza elettronica e campi di concentramento spinge questa «umanità di scarto» a una terribile corsa ad ostacoli; chi sopravvive alla selezione deve essere allora così stremato e impaurito da accettare qualsiasi condizione di vita e di lavoro nei Paesi in cui approda. E proprio per questo, infine, può venir additato dal razzismo istituzionale e sociale come capro espiatorio a cui addossare ogni colpa.

Quando, a fine 2015, lo Stato austriaco dichiarò la sua intenzione di costruire una barriera anti- immigrati al Brennero, le rimostranze delle istituzioni italiane riguardarono solo ed esclusivamente le ripercussioni negative che quel muro avrebbe avuto sul transito delle merci. Come emblema di un passato che non passa, la conferenza stampa sul progetto della barriera fu tenuta direttamente dalla polizia austriaca e il tutto venne presentato come una mera «soluzione tecnica» di gestione del confine. L’espressione di per sé − «soluzione tecnica» − avrebbe dovuto
far ribollire il sangue.

Mentre andava in scena il balletto delle dichiarazioni incrociate tra governo austriaco e governo italiano, i controlli delle polizie sui treni OBB avvenivano già in territorio italiano e la «soluzione tecnica» era spostata più a sud. Per mesi chiunque avesse la faccia non-bianca non riusciva nemmeno a salire su quei treni, a Bolzano come a Verona. Il sistema-frontiera, d’altronde, è un
dispositivo mobile, tutt’uno con le retate della polizia e con i centri della detenzione amministrativa. (E dovrebbe ben far riflettere il fatto che la stessa «soluzione tecnica» sia stata adottata mesi fa per controllare e respingere i positivi al Covid-19 tra gli autisti e i passeggeri diretti in Austria: i potenziali “infetti”, questa volta, eravamo noi). Per tutte queste ragioni qualcuno ha bloccato più volte i treni OBB; per questo nei mesi precedenti la manifestazione del 7 maggio 2016 si è insistito da più parti sul concetto «se non passano le persone, non passano le merci»; per questo i discorsi su come far fallire la gestione di quell’abominio chiamato «soluzione tecnica».

Quello che i PM hanno presentato come una sorta di disegno ordito da qualche “capo” ed eseguito da tanti “gregari”, era semplicemente il sentimento che a quell’ingiustizia bisognasse reagire. Gli “onesti cittadini” che oggi non vogliono distinguere ciò che è legale da che è giusto – che si addormentano, cioè, in quell’obbedienza contro cui mettono in guardia le parole di Hannah Arendt («Nessuno ha il diritto di obbedire») che con grande ipocrisia le istituzioni hanno fatto collocare davanti a questo tribunale – ricordano da vicino coloro che si giravano dall’altra parte quando in questo Paese si deportavano gli ebrei e si fucilavano i partigiani.

E ora entriamo nel merito del processo. Il reato di “devastazione e saccheggio” – in quanto tale e ancor più per come è stato interpretato dai PM – deriva direttamente dal codice fascista del 1930.
Aveva già fatto la sua comparsa nel 1859 con l’articolo 157 del codice del Regno di Sardegna e nel 1889 con l’articolo 252 del codice Zanardelli. Non solo, in quei casi, si faceva esplicito riferimento alla guerra civile e alla strage, ma le pene previste andavano dai 3 anni ai 15. Con il codice fascista, invece, scompare quella cosetta chiamata guerra civile, mentre la pena base prevista dall’articolo 419 parte da 8 anni. Poi è arrivata la “democrazia nata dalla Resistenza”, si dirà. Infatti. L’articolo è ancora il 419 e le pene previste sono le stesse. Ora, siccome in tal modo si raggiunge l’assurdo giuridico per cui, al suo confronto, si rischia decisamente meno con l’accusa di partecipazione a una “insurrezione armata contro i poteri dello Stato”, quello definito dall’articolo 419 è rimasto a lungo un cosiddetto reato dormiente. Uno dei pochi casi in cui è stato applicato dal 1945 alla fine degli anni Novanta sono stati i moti insurrezionali scoppiati nel 1948 in seguito all’attentato a Togliatti, moti nel corso dei quali in alcune città i partigiani sono scesi in piazza con le mitragliatrici… Oggi la soglia del dissenso accettato si sta talmente abbassando per cui si cerca di applicare – e in alcuni casi ci si è pure riusciti – il reato di “devastazione e saccheggio” a manifestazioni per le quali è addirittura grottesco parlare di “distruzioni di vasta portata”. E così arriviamo alla richiesta, formulata in questa aula qualche mese fa come se fosse una normale lista della spesa, di 338 anni di galera. Il tutto a fronte di un risarcimento danni chiesto dal ministero degli Interni di 8mila euro… Lasciamo poi agli avvocati la questione – in realtà ben più politica che “tecnica” – del modo assai disinvolto con cui si contesta a decine di persone il reato di concorso materiale e morale in resistenza e lesioni in virtù della semplice presenza a quel corteo.

Come emerge dai volantini e dagli altri materiali citati, e persino dai filmati che sono stati ossessivamente mostrati nelle scorse udienze, l’intento di quella manifestazione era bloccare le linee di comunicazione – infatti il corteo è stato caricato da polizia e carabinieri proprio mentre stava deviando verso i binari. “Se alcuni non possono passare il confine, allora non passa niente e nessuno”: certi concetti etici hanno bisogno a volte di una generosa dimostrazione pratica. Le frontiere uccidono. Per annegamento, per congelamento, per incidenti sui sentieri di montagna o lungo le linee ferroviarie. Oppure direttamente, con il piombo della polizia, come è successo in Grecia grazie alla legittimazione di fatto da parte dell’Unione Europea. Di tutto questo non vogliamo essere complici.

A ciascuno il suo. Per quanto ci riguarda, il senso e lo spirito di quel 7 maggio ce li rivendichiamo a testa alta. Come segno di rabbia contro le mille forme del razzismo di Stato. Come espressione di solidarietà nei confronti di un’umanità braccata. E come gesto di appoggio. Verso i braccianti in lotta nel Sud Italia, verso le donne immigrate che si ribellano alla tratta, verso gli internati in rivolta nei lager della democrazia. Verso chi, ovunque nel mondo, non si scansa né transige, perché ama la libertà di tutte e di tutti al punto di giocarsi la propria.
Non ci atteggiamo a vittime della repressione. Siamo consapevoli di ciò che comporta la nostra posizione a fianco dei dannati di questa terra e contro i piani del potere.
Che il tempo della sottomissione si fermi.

 

Bolzano, 11 settembre 2020

Agnese Trentin, Roberto Bottamedi, Massimo Passamani, Luca Dolce, Giulio Berdusco, Carlo Casucci, Giulia Perlotto, Christos Tasioulas, Francesco Cianci, Andrea Parolari, Mattia Magagna, Sirio Manfrini, Luca Rassu, Roberto Bonadeo, Marco Desogus, Gianluca Franceschetto, Gregoire Paupin, Claudio Risitano, Guido Paoletti, Daniele Quaranta

 

15/8/2020 Tensione nel lager di Gradisca

Ennesima notte di tensione in un CPR, stavolta in quello di Gradisca d’Isonzo (GO), dove la ricostruzione dell’accaduto da parte della questura, parla di alcuni prigionieri della struttura che hanno cercato di evadere, respinti dagli agenti antisommossa. Al momento tre migranti tunisini sono stati arrestati con l’accusa di danneggiamento, resistenza, lesioni e incendio. Questo a riprova che le tensioni in quei lager non cessano anche se le telecamere e i “social” sono puntati altrove.

Documentario: “À l’usage des vivants” di Pauline Fonsny

Nel 1998, Semira Adamu, una giovane di 20 anni in fuga dalla Nigeria, morì soffocata da un cuscino mentre i gendarmi tentavano di espellerla su un volo di linea, per la sesta volta, dal territorio belga.

Il 17 maggio 2018, durante un inseguimento in autostrada, un agente di polizia belga ha aperto il fuoco su un furgone che trasportava migranti. Un proiettile colpì la testa di una bambina di 2 anni, Mawda Shawri, uccidendola. Ad oggi, nessun ministro si è dimesso e nessun agente di polizia è stato indagato.

Un film dedicato a Semira Adamu, a tutte le vittime delle politiche migratorie e a tutti coloro che lottano contro le frontiere.

Premiato al Perugia Social Film Festival nell’edizione del 2019.

1° tempo

https://www.youtube.com/watch?v=QSOqFV8GC4o

2° tempo

https://www.youtube.com/watch?v=lqlFPjXGwI0&t=749s

25 aprile contro i CPR corteo a Modena

BASTA LAGER DI STATO

25 APRILE CONTRO IL RAZZISMO E CONTRO I FASCISTI

Se lo Stato avanza la libertà recede.

Lo Stato avanza chiudendo i porti, respingendo alla frontiera chi emigra e finanziando i lager libici, aumentando la ricattabilità degli sfruttati (stranieri o italiani che siano), inasprendo la repressione verso marginali e ribelli, rafforzando i poteri di polizia, allargando e diffondendo sul territorio galere e zone detentive d’eccezione. Lo Stato costruisce consenso intorno a un clima di rancore e paura, garantendo lauti profitti a chi finanzia e gestisce le strutture di controllo.

I CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), campi detentivi per emigranti, sono l’espressione più brutale di questo avanzamento: migliaia di persone considerate irregolari saranno internate nei lager di Stato in attesa della deportazione nei presunti luoghi d’origine. L’Europa li ha chiesti, il PD li ha creati e la Lega li riempirà: non c’è governo che si salvi.

Il CPR così come le deportazioni rimangono gli strumenti centrali di deterrenza per le persone emigranti. È l’ultimo anello di un sistema di controllo, sfruttamento e messa a valore degli individui che passa attraverso il costante ricatto dei documenti, le forme di disciplinamento del sistema d’accoglienza e le forme di lavoro gratuito, propagandato dietro false promesse.

A Modena l’ex CIE diverrà il CPR per l’Emilia-Romagna, una struttura già nota per la durezza dei trattamenti riservata agli internati, da questi ultimi definita “peggio della galera” e da essi stessi chiusa a suon di rivolte nel 2013.

È necessario contrastare questa ennesima espressione del razzismo di Stato e ricordare a chi governa che ancora una volta simili strutture troveranno opposizione. Se le nostre condizioni sono miserabili e le nostre libertà sempre più limitate è perché c’è chi, sotto di noi, subisce sfruttamento e privazione della libertà in modo ancora peggiore.

Ci opponiamo ai CPR perché:

SONO ESPRESSIONE DELLA SVOLTA AUTORITARIA

attuata dagli ultimi governi e tesa a colpire chi sta ai margini, chi non si adegua o chi si ribella, avvisaglie di un vero e proprio Stato di polizia.

RENDONO CHIUNQUE PIÙ RICATTABILE

La minaccia dell’espulsione porta ad accettare anche le peggiori condizioni pur di mantenere il lavoro necessario per il rilascio dei documenti, producendo un generale peggioramento delle condizioni lavorative e di vita di tutti.

DIFFONDONO XENOFOBIA E RAZZISMO

Se chi emigra è trattato da nemico, la solidarietà fra sfruttati va in pezzi a tutto vantaggio di chi ci sfrutta e su ciò l’attuale governo continuerà a guadagnare consensi.

E se paura e rancore dilagano il neofascismo prolifera.

A Modena esso gode di luoghi sicuri, come “Terra dei Padri”, dove i fascisti in camicia nera, l’altra faccia del razzismo di Stato, si preparano a venir fuori appena padroni e governanti lasceranno le briglie. Scendere in strada contro lo Stato di polizia significa scendere in strada anche contro i suoi fiancheggiatori.

Scendiamo in strada il 25 aprile contro tutto ciò.

Solidali con chi è prigioniero perché ha lottato e si è ribellato contro tutto ciò.

OPPORSI AI LAGER DI STATO!

OPPORSI AL RAZZISMO E ALLO STATO DI POLIZIA!

OPPORSI AI FASCISTI!

CONTINUARE A LOTTARE!

PIAZZA DELLA POMPOSA – MODENA – H. 15:00

Ecco il nuovo decreto “sicurezza”

Un sorriso a 36 denti sfoggia Salvini. A 72 se si considera anche quello del premier Conte quando assieme presentano il frutto della loro politica forcaiola e razzista: il nuovo decreto sicurezza. Un poco diverso ma non troppo da quella linea tracciata dall’allora primo ministro Minniti: “dagli al migrante e a chi gli è solidale”. Non a caso è stato proprio Minniti a iniziare questa pratica inedita mai vista prima in Italia, cioè perseguire con ogni mezzo le organizzazioni che soccorrono i migranti in mare tanto che, e la dice lunga su quali siano oggi i valori in questa Europa Unita, una nave di soccorso con un carico di profughi a bordo deve farsi un bel po’ di miglia nautiche prima di trovare un porto disposto ad accoglierli. E a quelli che ne sono scesi con i loro carichi di esperienze drammatiche cosa mai gli si potrà dire? Tanti di loro sono partiti dai luoghi di origine poco più che ragazzi e a caro prezzo sono diventati troppo presto adulti. A quelle ragazze segregate in Libia per mesi e per otto mesi rinchiuse senza vedere la luce del giorno, otto lunghissimi mesi, cosa le diremo? Le diremo che noi non siamo molto diversi da chi le ha torturate, da chi ha rinchiuso quei corpi in lager nel deserto alla mercede di aguzzini senza scrupoli, siamo della stessa amalgama di odio e indifferenza, siamo vigliacchi che si avventano sugli ultimi. Nemmeno il corpo di un bambino che galleggia accanto a quello della madre ci scuote. Non vediamo niente. Non sentiamo niente. Solo le menzogne e le cattiverie di ci governa e che ci riportano ad un passato ormai troppo presente. Peccato che chi ci governa lo abbiamo scelto noi.
Può essere abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, dice il decreto. E’ più selettivo il rilascio ed affida a sei permessi speciali la tutela del richiedente asilo che deve essere vittima di grave sfruttamento, o per motivi di salute, violenza domestica, calamità nel paese di origine, cure mediche o atti di particolare valore civile. Possibilità di revoca della protezione internazionale a fronte di una condanna di primo grado. Possibilità di revoca anche della cittadinanza per le condanne in definitivo per reati di terrorismo. Modifica del sistema di accoglienza con i centri per l’integrazione e l’inclusione sociale destinati ai soli minori non accompagnati e ai titolari di protezione internazionale. Per tutti gli altri la discarica dei centri per i rimpatri in cui raddoppia la permanenza massima da tre a sei mesi. Aumento dei fondi per l’applicazione delle espulsioni. Ai condannati per terrorismo in via definitiva divieto di partecipare a eventi sportivi, con “daspo urbano” anche per le aree come presidi sanitari, fiere, mercati, luoghi pubblici. Taser in dotazione anche alla polizia municipale in comuni con più di cento mila abitanti. Vengono inasprite le sanzioni rispetto le occupazioni abusive con pena fino a quattro anni per chi le organizza e le promuove.

“Sembra mio figlio” di Costanza Quatriglio

Il 20 settembre esce nelle sale “Sembra mio figlio”. E’ la nuova realizzazione della regista Costanza Quatriglio, che abbiamo già conosciuto quando ci ha raccontato il calvario in un reparto psichiatrico della Lucania di Francesco Mastrogiovanni con il suo documentario “87 ore”. Questo nuovo docu-film ci racconta con estremo realismo l’esperienza di due uomini, Ismail e Hassan, originari di una popolazione, quella Hazara, decimata da decenni di pulizia etnica a metà tra l’Afghanistan ed il Pakistan, giunti da bambini in Italia per sfuggire ai massacri. E con estremo realismo ci conduce attraverso la solitudine e l’emarginazione di chi soffre di esilio e migrazione, che non ti fa appartenere né ad un popolo, né ad un altro. Il desiderio di recuperare le proprie radici e specialmente il bisogno di ritrovare la madre di cui ne conoscono solamente la voce al telefono, ci trascinano in una realtà feroce e violenta in Pakistan, dove puoi pagare a caro prezzo l’appartenenza ad un’etnia discriminata.
Questo ci deve far riflettere su quanti Ismail e Hassan incontriamo oggi in Italia, dove dietro tanto razzismo e indifferenza troppo diffusi vi sia un’enorme sofferenza di chi fugge da violenza e sfruttamento.

Il 2 ottobre proiezione del documentario “Human flow” di Ai Weiwei a Bologna… da non perdere

Recensione dal sito “CCB Circuito Cinema Bologna” (https://www.circuitocinemabologna.it/):

Genere: Documentario

Regia: Ai Weiwei

Con: Boris Cheshirkov, Marin Din Kajdomcaj, Princess Dana Firas Of Jordan, Abeer Khalid

Durata: 140

Trama: Oltre 65 milioni di persone nel mondo sono state costrette a lasciare le proprie case per sfuggire alla carestia, ai cambiamenti climatici e alle guerre. È il più grande esodo umano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il documentario racconta con grande espressività visiva, l’epica migrazione di moltitudini umane, mettendo in scena la sconcertante crisi dei profughi e il suo impatto profondamente umano. Girato nel corso di un anno carico di eventi drammatici, seguendo la straziante catena di vicissitudini umane, il film spazia in 23 Paesi tra cui Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia ed è la testimonianza della disperata ricerca, da parte di queste persone, di un porto sicuro, di un riparo, di una giustizia. Dal sovraffollamento dei campi profughi ai pericoli delle traversate oceaniche fino alle barriere di filo spinato che proteggono le frontiere, i profughi reagiscono al doloroso distacco con coraggio, resistenza e capacità di adattamento, lasciandosi alle spalle un passato inquietante per esplorare le potenzialità di un futuro ignoto. Un film puntuale, presentato proprio nel momento in cui la tolleranza, la compassione e la fiducia sono più necessarie che mai. Questa intensa opera cinematografica esprime l’incontrovertibile forza dello spirito umano e pone una delle domande che caratterizzeranno questo secolo: riuscirà la nostra società globale a superare la paura, l’isolamento, gli interessi personali e ad accogliere l’apertura, la libertà e il rispetto dell’umanità?

Note IN CONCORSO ALLA 74ma MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA. HA OTTENUTO MENZIONE SPECIALE DEL PREMIO FAIR PLAY CINEMA, PREMIO FONDAZIONE MIMMO ROTELLA AD AI WEIWEI, PREMIO ENRICO FULCHIGNONI-CICT-UNESCO, MENZIONE SPECIALE DEL PREMIO HUMAN RIGHTS NIGHTS AL CINEMA DEI DIRITTI UMANI E SEGNALAZIONE CINEMA FOR UNICEF 2017 DEL PREMIO LEONCINO D’ORO AGISCUOLA

“L’ordine delle cose” di Andrea Segre in concorso a Venezia: docu-film realistico e attualissimo sui rapporti tra Libia e Italia in materia di Immigrazione e diritti umani

Aggiornamento dal C.i.e. di Brindisi-Restinco

Giovedì 30 luglio 2016, abbiamo raggiunto ancora una volta le mura del Cie di Brindisi-Restinco. I fogli di via mirati a scoraggiare la solidarietà esterna non hanno impedito un ennesimo saluto ai detenuti del centro. Dopo il presidio dello scorso 20 febbraio, un contatto costante con l’interno per rompere l’isolamento con la lotta è ancora possibile.

A distanza di quattro mesi, il Cie di Brindisi risulta essere affollato: 8 persone sono rinchiuse per ogni stanza delle 3 sezioni, le nazionalità sono varie – Nigeria, Marocco, Egitto, Kosovo, Albania, Russia, Pakistan, Afghanistan…

Come di frequente, una parte dei detenuti in contatto con noi sono individui stabilizzati in Italia da tempo, che da un momento all’altro hanno subito un troncamento della loro vita comune con un blocco di polizia, per poi trovarsi catapultati nel centro di Brindisi. Questo conferma come un lager per immigrati si regga su controlli random di potenziali irregolari da incarcerare e mettere a profitto per l’arricchimento degli enti gestori dei centri in questione. La militarizzazione di molte città italiane permette l’estensione delle frontiere nel tessuto urbano, fungendo da preambolo alla detenzione allo sfruttamento di immigrati.

Oltre a ciò, non mancano le già note lamentele per il cibo fornito al Cie dalla ditta Ladisa spa. Cibo scadente, maleodorante, e che – a detta di alcuni detenuti- provoca forti dolori allo stomaco e prurito diffuso.

Le condizioni igieniche tendono a peggiorare nel corso dell’estate: scarafaggi e altri parassiti infestano le stanze del Cie. Inoltre, dalla sezione B un detenuto sostiene che gli addetti alle pulizie passano così raramente che le stesse persone rinchiuse si trovano costrette a ripulire con le scope la propria galera. Una situazione di ulteriore umiliazione che, da quanto dichiarato dallo stesso contatto, è anche occasione di derisione di parte di alcuni operatori del centro.

Varie persone hanno anche testimoniato di pestaggi e minacce da parte delle guardie nei confronti di chi protesta. A tal proposito, sembra che all’uso punitivo della stanza di isolamento sia subentrata l’usanza di condurre i dissidenti al cortiletto della sezione per essere pestati.

Il saluto di giovedì scorso è stata un’occasione per sentire da dento il forte desiderio di evadere e mettere fine a questa gabbia. Desiderio espresso nelle parole urlate dei detenuti dalle finestre inferriate, dai loro insulti contro militari e poliziotti, e nell’entusiasmo di un piccolo momento di rottura con la mortificante normalità di quel lager.

Nemici delle frontiere – Lecce

L’accoglienza secondaria – s04p38

TAGS: mezzoradaria, CIE, CARA, SPRAR, CAS, migranti, immigrazione, accoglienza, solidarietà

Proviamo a fare una riflessione in quel mondo chiamato dell’accoglienza secondaria. Che cos’è l’accoglienza e qual’è il suo scopo?

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