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Archivio per il tag: carcere

Letture: “Il carcere in Italia oggi. Una fotografia impietosa”

IL CARCERE IN ITALIA OGGI
Una fotografia impietosa

Le carceri italiane, come quelle di ogni Paese, sono lastricate di odio e violenza, dentro un elenco infinito di vittime, ed è ormai dimostrato che le leggi da sole non sono sufficienti a tutelare le persone che hanno perso la libertà, in quanto il carcere è un luogo così chiuso che parlare di trasparenza, quella che invece dovrebbe esserci in quanto siti di esecuzione della giustizia, è impossibile ed impraticabile, i muri che lo determinano sono il primo e fondamentale elemento di lontananza dalla città libera e dalle garanzie di rispetto dei diritti.
C’è, tra l’altro, una domanda da porsi: dei quasi tremila morti e milleottocento suicidi da inizio secolo, non dimenticando le migliaia di atti di auto-lesionismo e le innumerevoli violenze che quotidianamente si determinano negli istituti della reclusione nel nostro Paese, non ci sono responsabili?
La guerra ha una evidenza nei responsabili del conflitto, mentre nella guerra che ogni giorno si combatte nelle carceri sembra che tutto rientri solo nella responsabilità di chi ha commesso il reato, il fatto stesso di esservi recluso “in quanto se l’è cercata” e se accidentalmente ne soccombe, è quasi una logica conseguente della cattiveria esercitata.
L’art. 27 della Costituzione recita, tra l’altro: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, questo stride in maniera drammatica con le morti e violenze che continuano a segnare le esistenze carcerate da rendere ancora più evidente quanto affermato già nel 2012 dal “manifesto No Prison”, indicano anche che siamo in ritardo per modificare l’attuale assetto dell’esecuzione ed è perciò più che doveroso fare un salto di paradigma da parte di chi ha responsabilità legislative, per buttare un vestito vecchio come quello del nostro carcere, che produce tanti morti e sofferenza, a favore di un modello di esecuzione delle condanne che riduca al minimo la perdita della libertà, rispettando i diritti delle persone condannate, e sia foriero di restituzione del danno alle vittime e recupero della legalità, un salto di paradigma la cui drammatica responsabilità ricade sui governi e parlamenti, perché sono loro in effetti i veri responsabili di questa ecatombe!

https://www.livioferrari.it/home/carcere-italia-oggi.html

Letture: “Donne “cattive” Cinquant’anni di vita italiana” di Liliana Madeo

Il mondo va ripensato anche dalle donne, e non solo per ciò che le riguarda: infatti non c’è niente che, riguardando le donne, non riguardi anche gli uomini.

« L’Italia che esce dalla guerra, l’Italia che entra nel nuo­vo millennio. Cambiano i costumi, il modo di produrre e di pensare, l’immaginario, le regole della convivenza. Con amori, sangue, vendette, illusioni, utopie, crudeltà, coraggio, inventiva: un romanzo che attraversa mezzo secolo. Da una parte ci sono le istituzioni con i loro ritardi e lentezze, la misoginia dei politici, il moralismo dei giudici, la scuola repressiva, la Chiesa ancorata alla tradizione, la scomunica di ogni ribellione, i faticosi e appassionanti itinerari del rinnovamento, le resistenze del potere al nuovo. Dall’altra parte ci sono i personaggi che – magari in maniere sgradevoli o addirittura criminali, per improvvise esplosioni, a segmenti – trasgrediscono la norma e precorrono i tempi, contribuiscono a far crollare tabù e convenzioni, portano alla luce quanto sta maturando nelle pieghe della società. Figure femminili.
Sono loro – le donne che rifiutano un destino predeterminato e scelgono di buttare all’aria tradizione, gerarchie, persino il rispetto della legalità – le protagoniste delle tante Italie che si scontrano, si ignorano, convivono. Non eroine intemerate. Non vittime. Non controfigure. Donne scomode. Le madri delle ragazze del nuovo millennio. »

Letture: “Cuore nero” di Silvia Avallone

L’unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. E da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un’adolescente di trent’anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un’invasione. Quella donna ha l’accento “foresto” e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo? Quando finalmente s’incontrano, ciascuno con la propria solitudine, negli occhi di Emilia – “privi di luce, come due stelle morte” – Bruno intuisce un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l’ha subito, lei perché l’ha compiuto – un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. Sassaia è il loro punto di fuga, l’unica soluzione per sottrarsi a un futuro in cui entrambi hanno smesso di credere. Ma il futuro arriva e segue leggi proprie; che tu sia colpevole o innocente, vittima o carnefice, il tempo passa e ci rivela per ciò che tutti siamo: infinitamente fragili, fatalmente umani. Con l’amore che solo i grandi autori sanno dedicare ai propri personaggi, Silvia Avallone ha scritto il suo romanzo più maturo, una storia di condanna e di salvezza che indaga le crepe più buie e profonde dell’anima per riempirle di compassione, di vita e di luce.

 

https://www.libreriarizzoli.it/…/eai978881718460/

Letture: ” Un innocente assassino” di Margherita Altea

Carcere di Tempio, 1898. Giovanni Antonio Oggiano è recluso per un crimine che non ha commesso. I meccanismi della giustizia sono lenti, la paura di non poter riacquistare la libertà fa sì che decida di mettere su carta la storia della propria vita. Un’esistenza difficile, in una Sardegna ancora prettamente rurale e dove l’obiettivo principale di ogni sforzo è garantirsi una sopravvivenza dignitosa. Giovanni è abituato sin da piccolo a lottare per non essere sopraffatto dai più forti; eppure, quando tra mille peripezie riesce a costruire qualcosa di suo, è costretto a rinunciarvi. La sua voce rimane inascoltata, alla scrittura affida il resoconto delle vicende personali e la possibilità di aggrapparsi alla propria natura di essere umano, seppur confinata in una cella angusta.

Un innocente assassino si basa su fatti reali e permette di immedesimarsi in una storia senza tempo e sempre attuale: quella degli innocenti ai quali è negato il riconoscimento della verità.

L’autrice:

Margherita Altea è nata a Tempio Pausania (SS) nel 1978. Ha pubblicato il romanzo Il giardino di sabbia (Lettere Animate Editore, 2017), i racconti Lungo il fiume e Il viaggio di Isadora (Racconti nella Rete) rispettivamente nel 2018 e nel 2020.

https://www.aughedizioni.it/prodotto/un-innocente-assassino/

Da leurispes.it del 6 novembre 2023

di Ilaria Tirelli

Quella di Margherita Altea è una storia “familiare”, nata quasi per caso dal ritrovamento di un diario e alimentata dalla volontà di dare voce a chi non è riuscito a dimostrare la propria innocenza. Il carattere personale di questa storia si interseca indissolubilmente con quello che è, forse, il fine ultimo della scrittura: consegnare alla pagina una memoria che tramandandosi diventi imperitura, che testimoni una verità altrimenti inascoltata, sottraendo alla caducità del tempo l’esistenza stessa di un individuo che ha come unica arma di difesa la sua stessa scrittura. Un innocente assassino è il racconto di una vita, una storia intima e profonda, necessaria ad un padre per testimoniare la propria versione alle sue figlie, mai conosciute proprio a causa della reclusione: è il racconto di un errore giudiziario nel quale possiamo riconoscere molti altri casi di cronaca, dove non è la giustizia a fare il proprio corso ma l’invidia e il pregiudizio.

Un innocente assassino è il racconto di una vita necessario ad un padre per testimoniare la propria versione alle sue figlie

La potenza narrativa di un inizio in medias res serve a calare immediatamente il lettore nel cuore degli avvenimenti: quella che ci si prefigura davanti è una cella di isolamento del carcere di Tempio Pausania sul finire del 1898. Il fatto saliente di questa storia è già accaduto e, in un certo senso, viene dato per assodato dall’autrice sia attraverso il titolo – l’innocente assassino di cui si parla non potrà che essere il nostro protagonista, Giovanni Antonio Oggiano – sia attraverso un prologo che poco spazio lascia all’immaginazione, restituendo la descrizione di un luogo, un carcere della Sardegna di fine secolo, che un lettore moderno sicuramente fatica ad immaginare: «Quattro mura strette e soffocanti, nessuna finestra […]. Nessun angolo o pertugio per sfuggire alla disumanità di quel luogo. Il soffitto troppo basso gli impediva di stare dritto».

La Sardegna di quei tempi è una terra aspra e rurale, dove la lite con un vicino può facilmente finire con un assassinio

Fin da bambino il piccolo Giovanni si trova ad affrontare un’esistenza difficile, a dover lottare per non essere sopraffatto dal più forte di turno che riconosce, in primis, nella figura del patrigno. Ma anche al di fuori delle mura domestiche il contesto sociale non è dei migliori: la Sardegna è, a quei tempi, una terra aspra, prettamente rurale, dove il bestiame e il raccolto rappresentano l’unica fonte di sostentamento familiare e dove la lite con un vicino può facilmente finire con un assassinio. Giovanni, però, nonostante il suo carattere impulsivo è molto amato ed aiutato nel corso delle sue vicissitudini; ha persino amici pronti a sacrificare la propria libertà – e, alla fine, la vita stessa – per proteggerlo e nasconderlo durante la latitanza.

Un omicidio è stato commesso, ma non sappiamo di chi, o come sia successo né tantomeno perché

Il lettore viene accompagnato in questo arcaico mondo in modo semplice, lineare, soprattutto grazie ad una prosa fluida ed uno stile che risulta immediatamente familiare. Quello che tiene viva l’attenzione di chi legge spingendo a proseguire pagina dopo pagina è, senza dubbio, la curiosità, abilmente instillata dall’autrice fin dalle prime pagine: un omicidio è stato commesso, ma non sappiamo di chi, o come sia successo né, tantomeno, perché. Ed è proprio per scoprire la verità che la storia si legge tutta d’un fiato. I due piani narrativi del presente e del passato si intrecciano e si rincorrono continuamente, manifestando in maniera ossimorica la situazione stessa del protagonista e, allo stesso tempo, creando un complessivo effetto di suspencela reclusione e l’immobilità del presente si contrappongono alla vivacità e alla vitalità del ricordo passato, alimentando in questo modo quel senso di nostalgica malinconia nei confronti di una vita e di una libertà ormai perdute.

Quel che resta all’innocente assassino è un ricordo nebuloso, ormai quasi del tutto cancellato dal carcere

Il gioco dei piani narrativi culmina nella seconda parte del libro, ambientata esclusivamente nel carcere: il protagonista è ormai stato arrestato e il racconto si dirada sempre di più per far spazio a stralci del diario stesso che conferiscono una rapidità ancora maggiore alla storia. Il finale coincide con l’ultimo giorno del protagonista nel carcere di Pianosa. Non ci viene detto come è stato per il protagonista riabbracciare moglie e figlie e cercare di recuperare una normalità a lungo agognata. Quel che resta di questa storia è un ricordo nebuloso, ormai quasi del tutto cancellato dal carcere, una nostalgia per gli anni persi e per i cari perduti nel corso del tempo e, allo stesso tempo, una connessione fisica con la propria terra natìa: «Mi restano immagini sbiadite, simili a sogni. Mi restano gli odori, i colori della Gallura. […] Domani torno a respirare la tua aria, mondo! Inutile crucciarsi di quello che è stato, rimpiangere ciò che è perso. Inutile. Questa notte durata anni si è quasi conclusa e io mi sveglierò solo più vecchio».

https://www.leurispes.it/un-innocente-assassino-la-memoria-di-una-vita/

Cine-teatro: “I Mostri ci somigliano” di Chiara Migliorini

Uno degli aspetti più oscuri della società contemporanea: l’abuso di potere. Uno dei contesti più scomodi: il carcere. Partendo da una riflessione sul ruolo dell’informazione mediatica sul tema, lo spettacolo è un susseguirsi di quadri che indagano il rapporto tra vittima e carnefice, tra oppresso ed oppressore all’interno del carcere per affrontare una riflessione più ampia sul sistema sociale in cui viviamo. I temi riguardanti abuso, responsabilità, perdita, e (in)giustizia sono rappresentati dagli attori in un crescendo di parole e movimenti da cui emerge una riflessione profonda sui concetti di bene e male, giusto e sbagliato all’interno delle dinamiche sociali in cui si muovono Mostri e Uomini. Sta al pubblico individuare gli uni e degli altri, la sfumata linea di divisione tra i due, e il ruolo della Società nel farsi garante dello status quo.

Associazione Culturale Lotus

FB: https://www.facebook.com/LOTUS-associ…

Mail: lotus.teatrodanza@yahoo.it

Con: Samuele Alfarano, Francesco Del Cherico, Francesco Di Fraia, Sara Marotta, Benedetta Melani, Alessio Ricci, Caterina Ridi, Agnese Sforzi

Assistenza alla Regia: Riccardo Taddei

Regia e Drammaturgia: Chiara Migliorini

Filmmaker: Mattia Mura

Nuove proiezioni: “Io capitano” di Matteo Garrone

SINOSSI

Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

COMMENTO DEL REGISTA

Io Capitano nasce dall’idea di raccontare il viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha. (dal sito sella Biennale di Venezia: https://www.labiennale.org/it/cinema/2023/venezia-80-concorso/io-capitano ).

TRAILER

https://www.youtube.com/watch?v=idErmD0bA_M

Letture: “La classe è morta – Storia di un’evidenza negata” di Carla Cerati

A cura di Pietro Barbetta
Prefazione di: John Foot
Postfazione di: Silvia Mazzucchelli

Morire di classe uscì nel 1969. Era un libro curato da Franco e Franca Basaglia, un volume d’immagini e commenti, di denuncia e speranze. Speranze che le cose potessero cambiare, che la giustizia entrasse nelle mura della salute mentale e i pazienti fossero trattati con dignità.
L’impresa è riuscita? Sono scomparse, si sono rarefatte, immagini di quel tipo, oppure si sono trasferite sul territorio, fuori le mura, dentro altre mura invisibili, fatte di molecole ad alto dosaggio e di fasce pendenti dai lettini?
Questo volume, a partire dalle storiche immagini di Morire di classe di Carla Cerati, prova a riattualizzare il tema dell’universo concentrazionario manicomiale, rinchiuso in ospedale, nella forma di trattamento sanitario obbligatorio, e nei reparti di osservazione psichiatrica nelle carceri.

https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857599236

Film: “Grazie ragazzi” di Riccardo Milani

Regia Riccardo Milani

con Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Fabrizio Bentivoglio

L’apprezzato regista torna con una commedia commovente e appassionante

Di fronte alla mancanza di offerte di lavoro, Antonio, attore appassionato ma spesso disoccupato, accetta un lavoro offertogli da un vecchio amico e collega, assai più smaliziato di lui, come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario.
All’inizio titubante, scopre del talento nell’ improbabile compagnia di detenuti e questo riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa direttrice del carcere a valicare le mura della prigione e mettere in scena la famosa commedia di Samuel Beckett “Aspettando Godot” su un vero palcoscenico teatrale.
Giorno dopo giorno i detenuti si arrendono alla risolutezza di Antonio e si lasciano andare scoprendo il potere liberatorio dell’arte e la sua capacità di dare uno scopo e una speranza oltre l’attesa.
Così quando arriva il definitivo via libera, inizia un tour trionfale.

Una produzione Palomar, Wildside, società del gruppo Fremantle, e Vision Distribution in collaborazione con Sky.

https://www.youtube.com/watch?v=Z-Jw1cnppJ4

Letture: “Tutte le cose che ho perso” di Katya Maugeri

Per la prima volta un volume interamente dedicato alla lettura di genere del fenomeno carcerario, con un focus sulla detenzione al femminile e con un approccio nuovo: le storie  autobiografiche, ciascuna scandita dal numero di cella, sono raccontate in prima persona e rendono le detenute soggetto e non oggetto della ricerca sociale.

Attraverso testimonianze forti e suggestive, si passa all’analisi di argomenti inediti che sono un grido di denuncia sociale: impossibile continuare a ignorare la peculiare realtà carceraria femminile in Italia senza dar voce a chi la vive in prima linea. Una delle funzioni privilegiate del giornalismo è proprio quello dell’inchiesta sociale, specie quando da essa possano sorgere vere e proprie indagini su aspetti da troppo tempo sottaciuti o assimilati a fenomeni più generali, creando emarginazione e discriminazioni a più livelli, a partire da quella di genere.

Katya Maugeri nel suo secondo libro inchiesta, ci propone un percorso introspettivo all’interno di solitudini intrise di rabbia, desideri di riscatto con il retrogusto amaro della sconfitta. Negli istituti penitenziari femminili si respira un surrogato di vita: bastano le voci narranti di sette «celle» per capire che «le donne non smettono mai di raccontarsi».

Questo libro, che si fregia della prefazione del magistrato Francesco Maisto, Garante dei detenuti del Comune di Milano, della postfazione della sociologa Eleonora de Nardis e del prezioso contributo di Sandro Libianchi presidente del Coordinamento nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I.)- Centro Studi Penitenziari,  è esempio di alto giornalismo sociale grazie allo sguardo e all’impegno di Katya Maugeri che restituisce il giusto peso al valore delle storie.

 

http://www.villaggiomaori.com/Katya-Maugeri-Tutte-le-cose-che-ho-perso-p560525895

Letture: “Resta con me, sorella” di Emanuela Canepa

Da quando suo padre è morto di febbre spagnola, Anita, orfana di madre dall’età di sette anni, vive con la matrigna e i suoi due figli. Uno lavora con lei nel giornale in cui il padre prestava servizio. Un giorno il fratellastro ruba dalla cassa e Anita decide di prendersi la colpa, perché il suo misero stipendio di donna non basterebbe a mantenere la famiglia, mentre quello del fratellastro sí. Rinchiusa nel carcere della Giudecca, incontra Noemi, una ragazza ombrosa da cui tutte si tengono alla larga – «ha il demonio dentro», dicono – e dalla quale persino le suore mettono Anita in guardia. Ma lei ne subisce il fascino e, malgrado Noemi non riveli mai il motivo per il quale è stata condannata, Anita si confida con lei. Le due stringono un patto: progettano di costruire un futuro insieme, una volta fuori. Sono convinte di poter trovare la propria strada nel mondo anche senza un marito. Ma oltre la soglia della prigione l’esistenza travolge e confonde come il brulichio incessante per le strade di Venezia, obbligando Anita a fare i conti con sé stessa e con il segreto inconfessabile che Noemi nasconde.

Quali sogni ti erano concessi in Italia, negli anni Venti del Novecento, se non eri un uomo?

Con la consueta capacità di scrutare nell’animo femminile e nell’ambiguità delle relazioni, Emanuela Canepa racconta due donne che, imprigionate dal potere maschile o dalla propria incapacità di opporvisi, sognano di liberarsi dalle catene della Storia.

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/resta-con-me-sorella-emanuela-canepa-9788806257712/

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